Con la recente pronuncia n. 2838 del 6 febbraio 2018, la Suprema Corte di Cassazione (sezione Lavoro) è intervenuta in tema di indennizzabilità degli infortuni sul lavoro, chiarendo, in particolar modo, i requisiti di collegamento tra il sinistro patito dal lavoratore e la relativa attività espletata.
Giova preliminarmente rilevare come il diritto del prestatore di ricevere adeguata tutela da parte dell’ordinamento, in caso di infortuni occorsi nell’esecuzione della prestazione lavorativa, abbia rilievo costituzionale, posto che l’art. 38 della Carta costituzionale prevede espressamente che “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. In attuazione di detta prescrizione, il legislatore è intervenuto a regolare la materia in epoca assai risalente, per mezzo dell’approvazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ossia il “Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”, con il quale ha imposto, a determinate condizioni, l’obbligo di assicurazione INAIL per la copertura dei danni patiti. In particolare, a norma dell’art. 2, l’assicurazione – e con essa il diritto del lavoratore a percepire l’indennizzo – “comprende tutti casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro. Ebbene, il principale dubbio interpretativo che al riguardo si pone concerne l’esatta portata da attribuirsi al requisito “occasione di lavoro”, stanti le diversificate modalità di realizzazione della prestazione lavorativa e di atti ad essa connessi.

Nel caso di specie, un lavoratore artigiano (più specificatamente, per attività di verniciatura e sabbiatura) rimaneva coinvolto in un gravissimo incidente stradale mentre si stava dirigendo con la propria autovettura verso un capannone di recente affittato dalla relativa società, cui il soggetto in questione era socio accomandatario, per verificare la corretta esecuzione di lavori di allacciamento dell’energia elettrica. Nonostante i danni patiti dallo stesso, sia in primo grado che in appello il giudice ne aveva negato la ristorabilità a carico dell’INAIL, in considerazione dell’esclusione della configurabilità, nell’ipotesi considerata, di un’“attività complementare o sussidiaria a quella lavorativa manuale”.

Riformando la sentenza d’appello, la Corte di Cassazione ha colto l’occasione per offrire un’utile ricognizione di taluni dei principi in materia di infortuni sul lavoro, ampliando, in misura significativa, l’ambito di applicazione del D.P.R. 1124/1965. In particolare, come ricordato dalla Corte, nell’estendere la tutela, oltre ai lavoratori subordinati, ai “soci delle cooperative e di ogni altro tipo di società… i quali prestino opera manuale, oppure non manuale” (art. 4 comma 7), il decreto ha espressamente previsto che tale opera possa caratterizzarsi altresì in una sovrintendenza del lavoro altrui, pur “senza partecipare materialmente al lavoro” (art. 4 comma 2). Orbene, il giudice di legittimità ha avuto modo di affermare, in proposito, come dalla lettura della legge si evinca chiaramente la non necessaria verificazione dell’infortunio nel corso dello svolgimento delle mansioni tipiche, ossia quelle “in ragione delle quali è stabilito l’obbligo assicurativo”. Sarebbe, invero, del tutto ristorabile, continua la Corte, anche il sinistro occorso durante l’espletamento di attività connesse i cui rischi non dipendano strettamente dall’apparato produttivo, come a ben vedere accaduto nel caso oggetto di controversia, cosicché anche la mera predisposizione degli strumenti di tecnologia “necessari per la tipologia dei lavori da eseguire nel nuovo opificio affittato”, quale l’impianto di energia elettrica, può ritenersi a tutti gli effetti integrante la fattispecie.
Il predetto assunto si pone in assoluta continuità con l’oramai consolidato orientamento giurisprudenziale che interpreta, in maniera decisamente estensiva, quanto disposto dal D.P.R. 1124/1965 (si vedano, a titolo meramente esemplificativo, Cassazione, sentenza n. 5419 del 1999, sentenza n. 10298 del 2000, sentenza n. 9556 del 2001, sentenza n. 1944 del 2002, sentenza n. 16417 del 2005, sentenza n. 2136 del 2015, nonché ordinanza n. 24765 del 2017).

In definitiva può, quindi, affermarsi, a dire della Suprema Corte, come il legislatore, nel prevedere in attuazione dell’art. 38 cost. una pregnante forma di tutela a favore delle vittime di sinistri, abbia inteso dare rilievo non tanto ai c.d. rischi professionali, “come tradizionalmente intesi”, bensì ad una vasta gamma di infortuni “in stretto rapporto di connessione con l’attività protetta”.

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