La categoria dirigenziale, sebbene sottoposta – per quanto possibile – alle regole generali che disciplinano i rapporti di lavoro subordinato, rappresenta una species tra la categoria dei dipendenti. Ciò, come è noto, è principalmente dovuto alla posizione apicale che questi lavoratori occupano dalle quale discende l’affidamento di rilevanti responsabilità, nonché un alto grado di autonomia decisionale nei processi dell’azienda per la quale prestano attività.

In generale, anche il licenziamento del dirigente deve essere giustificato (salvo il verificarsi di una giusta causa) in base alle previsioni contenute nei singoli Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro di riferimento.

Una interessante peculiarità del rapporto di lavoro dirigenziale riguarda il fatto che la nozione di “ giustificatezza” nell’ambito dei licenziamenti comminati agli esponenti di tale categoria di lavoratori differisce da quella cui si fa riferimento per la generalità degli altri casi: per quanto riguarda l’argomento della presente trattazione, infatti, essa ricomprende un maggior numero di casistiche ed è, dunque, sensibilmente più ampia nonché maggiormente “fluida”. Nel corso degli anni, data tale complessità, è stata la giurisprudenza (di merito e di legittimità) a rilevare il compito di indicare, nello specifico, quali eventi possano considerarsi integranti una giustificazione legittimante il licenziamento: ad esempio, il mancato raggiungimento di un determinato risultato da parte del dirigente (Trib. Milano 9 ottobre 2007), un comportamento da questi attuato che sia valutato come contrario alla correttezza ed alla buona fede (Cass. 20 novembre 2006 n. 24591), o l’inadeguatezza del dirigente rispetto all’incarico ricoperto e ai compiti assegnati (Cass. 13 gennaio 2017 n. 797).

Elemento peculiare rispetto alla generalità dei rapporti di lavoro è quello che fa sì che, nei casi in cui sia un dirigente a vedersi comminare un licenziamento che sia successivamente dichiarato illegittimo, a questi debba essere altresì riconosciuta la c.d. “indennità supplementare”. Si tratta di un istituto a carattere risarcitorio, determinato in proporzione alla mensilità utile per il calcolo del “preavviso”: la misura effettiva varia da un CCNL all’altro, ma di norma la liquidazione equivale a 1/3 di quest’ultimo istituto. Alcuni Contratti Collettivi prevedono, altresì, che tale indennità sia automaticamente innalzata con l’aumentare dell’anzianità di servizio del dirigente.

La soppressione della mansione

La circostanza affrontata nel presente paragrafo riguarda, in particolare, tutti quei casi in cui venga comminato un licenziamento a causa della soppressione della mansione affidata al dirigente: l’evento che di norma porta ad una tale conseguenza è una riorganizzazione dell’azienda datrice di lavoro (pertanto, nella generalità dei casi si parlerebbe semplicemente di licenziamento per giustificato motivo oggettivo).

Ove occorresse un tale scenario con riferimento alla figura del dirigente, anche in questo caso la giurisprudenza si è spesso espressa chiarendo che, a seconda dei singoli casi specifici, la legittimità del licenziamento stesso possa essere automatica (o automaticamente venir meno) in base a determinate circostanze in cui esso venga comminato, e che la stessa sorte sia in grado di tangere le conseguenti indennità riconosciute al dipendente coinvolto. Ad esempio, il licenziamento è giustificato ove sia originato da una genuina scelta imprenditoriale di razionalizzazione aziendale, non arbitraria né fondata su ragioni pretestuose o determinata unicamente dall’intento del datore di lavoro di liberarsi del dipendente (Cass. 22 ottobre 2010 n. 21748 e Cass. 24 luglio 2017 n. 18177); oppure, ancora, si ritiene giustificato il recesso esercitato dal datore di lavoro ove a quest’ultimo, a fronte di razionali ristrutturazioni aziendali, sia concessa facoltà di scegliere a propria discrezione il personale con cui continuare a collaborare a più alti livelli di gestione dell’impresa (Cass. 10 gennaio 2019 n. 436 e Cass. 8 marzo 2012 n. 3628). In questi casi, il licenziamento deve considerarsi legittimo e, dunque, esso riproduce i suoi effetti sul rapporto di lavoro.

Diversamente, invece, non trova giustificazione (e dunque le possibilità che venga dichiarato illegittimo dal Giudice competente sono molto alte) il licenziamento che, seppur avvenuto sulla base di una effettiva riorganizzazione aziendale, poteva essere preceduto da altri provvedimenti meno drastici e al quale il datore di lavoro abbia fatto ricorso al fine di raggiungere l’obiettivo di allontanare il dirigente, sfruttando tale motivo in maniera pretestuosa e senza corrispondenza con la realtà (Cass. 3 giugno 2013 n. 13918 e Cass. 26 luglio 2006 n. 17013).

La Corte di Cassazione ha avuto occasione di fornire un ulteriore discrimen al fine di correttamente individuare quando, in ambito dirigenziale, una determinata condotta da parte del datore di lavoro possa considerarsi legittima o meno (Cass. Ord. 26 ottobre 2018 n. 27199). Nel caso di specie, una dirigente aveva impugnato il licenziamento intimato in conseguenza dell’adozione di un piano di riorganizzazione aziendale a seguito del quale era prevista l’eliminazione della posizione che quest’ultima ricopriva. All’esito del procedimento di legittimità, la Corte preliminarmente sottolineva che la disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle L. 604/66 e L. 300/70 non sia applicabile ai dirigenti (data la posizione apicale ricoperta, nonché tutte le caratteristiche peculiari che ne conseguono e di cui si è, in parte, detto); pertanto, la conseguenza pratica tratta dalla Cassazione a seguito di tale considerazione è che, perché il licenziamento si consideri legittimo, basterà che il datore di lavoro dia dimostrazione dell’avvenuta riorganizzazione aziendale e del fatto che essa fosse tale da coinvolgere la posizione del dirigente. In casi come questo, dunque, non sarà dirimente la circostanza che le mansioni da questi precedentemente svolte vengano affidate ad altro dirigente in aggiunta a quelle sue proprie (o, si precisa, come nel caso di specie, redistribuite ad altro personale), in quanto quel che rileva è che presso l’azienda non esista più una posizione lavorativa coincidente con quella del lavoratore licenziato.

Come si evince dagli esempi appena riportati, è sempreverde la difficoltà nell’identificare legittimo o meno un licenziamento comminato al dirigente per soppressione della mansione; ciò, a causa di quella indefinitezza dei concetti relativi alla nozione di “giustificatezza” nei confronti della categoria dirigenziale di cui si è già detto. I CCNL di riferimento, peraltro, ancora oggi non chiariscono in maniera puntuale tali circostanze con dei requisiti predeterminati e, pertanto, l’interpretazione di tale clausola contrattuale va di volta in volta effettuata in base al criterio del contesto del contratto stesso.

CONTRIBUTO PUBBLICATO SU MEMENTOPIU’ DI GIUFFRE’