Norme di riferimento del whistleblowing

Di matrice statunitense ed inserito nel contesto italiano con la L. 90/2012, il fenomeno del whistleblowing nasce con la finalità di ridurre i comportamenti fraudolenti sul luogo di lavoro. Più precisamente, la norma indicata ha esportato tale concetto anche nel mondo del pubblico impiego, aggiungendo al relativo Testo Unico (D.Lgs. 165/2001) l’art. 54 bis, rubricato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”. La norma stabilisce che il dipendente pubblico che segnala condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione.

È bene sottolineare che, dall’altro lato, il dipendente privato restava in un primo tempo sprovvisto di una disciplina simile a quella approntata per il settore pubblico. Tale lacuna verrà colmata solo più tardi, quando dopo piccoli interventi ad hoc per settori specifici, sarà varata la L. 179/2017 (che ad oggi opera, in realtà, su entrambi i fronti).

La disciplina che regola il trattamento e le tutele apprestate ai dipendenti che decidono di denunciare eventuali illeciti sul posto di lavoro è stata poi oggetto di un ulteriore intervento, questa volta a carattere europeo: la Dir. UE 2019/1937 adottata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio Europeo (che l’Italia ha l’obbligo di recepire entro il dicembre 2021) stabilisce infatti norme minime comuni volte a garantire la posizione, spesso complessa, dei whistleblowers.

La problematica relativa a questo fenomeno, da un punto di vista meramente pratico, risiede di norma nel fatto che chi decide di segnalare comportamenti illeciti inevitabilmente finisce per subire ritorsioni dai soggetti denunciati, che possono avere delle conseguenze spiacevoli ed immeritate sulla quotidianità lavorativa nonché sulla carriera del whistleblower.

Ai sensi della disciplina qui analizzata, è bene chiarire cosa si intenda per “condotte illecite”, oggetto della denuncia del dipendente. La definizione offerta dalla normativa, come può ben notarsi, è notevolmente – e forse volutamente – generica.

Come è noto, è prassi che in casi del genere si proceda ad una interpretazione estensiva della lettera della norma, che tenga in considerazione anche altri parametri normativi: così dovrebbe considerarsi illecito tutto ciò che mina l’integrità della pubblica amministrazione o l’ente che impiega il whistleblower.

Le Linee Guida ANAC

Approvate con delibera 9 giugno 2021 n. 469 (successivamente comunicata in data 25 giugno 2021), il Consiglio ANAC ha adottato lo Schema di linee guida per il whistleblowing, attuative delle previsioni normative di cui alla L. 179/2017.

Tale schema si suddivide in tre parti.

La prima riguarda l’ambito di applicazione della regolamentazione contenuta nel testo, e in essa si fa riferimento ai principali cambiamenti intervenuti sull’ambito soggettivo di applicazione dell’istituto, e quindi relativamente alle PA e/o agli altri enti chiamati a dare attuazione alla norma di riferimento. Queste modifiche, è bene sottolinearlo, sono state apportate anche in considerazione di un parere non vincolante (e neppure obbligatorio) che l’ANAC ha scelto di richiedere ai Giudici del Consiglio di Stato nel 2020, anno in cui era stata proposta una prima versione delle Linee Guida.

Un elemento interessante di cui si tratta nella prima parte del documento in esame riguarda il concetto di “giusta causa” di rivelazione di notizie coperte dall’obbligo di segreto. Nello specifico, viene operato un bilanciamento tra il diritto del whistleblower di denunciare gli illeciti di cui venga a conoscenza e l’integrità della PA/Ente per cui lavora. Tra questi, il primo elemento risulta preminente alle seguenti condizioni:

  • la segnalazione deve essere effettuata con il solo fine di preservare il buon funzionamento dellaP.A.;
  • il segnalante non deve aver appreso la notizia in ragione di un rapporto di consulenzaprofessionale o di mera assistenza;
  • le notizie e i documenti, oggetto di segreto aziendale, professionale o d’ufficio, non devoonoessere rivelati attraverso canali di comunicazione diversi da quelli specificamente predisposti a tale scopo.

Nella seconda parte (dal titolo “la gestione delle segnalazioni nelle amministrazioni e negli enti”) vengono esposti i principi di carattere generale che riguardano le modalità di gestione della segnalazione, che di norma si richiede venga effettuata in via informatizzata. Si definisce altresì il ruolo fondamentale svolto dal Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza, c.d. RPCT, il quale ha il compito di effettuare una valutazione sulla rilevanza della singola segnalazione sulla cui base deciderà o meno di avviare una vera e propria procedura istruttoria; in alternativa, il RPCT ne ordina l’archiviazione. In ogni caso, a questi non spetta il compito di accertare le responsabilità individuali né di svolgere controlli di legittimità o di merito su atti e provvedimenti adottati dall’amministrazione oggetto di segnalazione (oneri, invece, di altri soggetti a ciò preposti all’interno di ogni ente o amministrazione, ovvero della magistratura).

Infine, nella terza parte, relativa alla gestione delle segnalazioni di condotte illecite e delle comunicazioni di misure ritorsive, si dà conto delle procedure gestite da ANAC cui è attribuito uno specifico potere sanzionatorio ai sensi dell’art. 54 bis, c. 4, il quale prescrive che “qualora venga accertata, nell’ambito dell’istruttoria condotta dall’ANAC, l’adozione di misure discriminatorie da parte di una delle Amministrazioni Pubbliche o di uno degli Enti di cui al comma 2, fermi restando gli altri profili di responsabilità, l’ANAC applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da € 5.000 a € 30.000. Qualora venga accertata l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni ovvero l’adozione di procedure non conformi a quelle di cui al comma 5, l’ANAC applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da € 10.000 a € 50.000. Nel caso sia accertato il mancato svolgimento da parte del responsabile di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute, si applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da € 10.000 a € 50.000. L’ANAC determina l’entità della sanzione tenuto conto delle dimensioni dell’amministrazione o dell’ente cui si riferisce la segnalazione”.

In questa ultima parte delle Linee Guida vengono offerte soprattutto delle indicazioni a carattere prettamente pratico, quali le modalità di presentazione della segnalazione o l’attività di gestione delle stesse una volta giunte alle competenti Autorità.

Infine, l’ANAC chiarisce anche che, in taluni casi, è possibile perdere le tutele riconosciute ai sensi dell’art. 54 bis: il comma 10 stabilisce, infatti, che ciò avviene nei casi in cui la segnalazione non sia effettuata in buona fede e/o laddove sia accertata una responsabilità penale del whistleblower per reati di calunnia, diffamazione o comunque connessi alla malafede della denuncia effettuata.

CONTRIBUTO PUBBLICATO SU GIUFFRE’ DEL 16/07/2021