Come annunciato in data 11 settembre 2018 dal Dipartimento per le politiche europee (Presidenza del Consiglio dei Ministri), il Governo italiano ha approvato, nell’ambito del Consiglio dei Ministri, il 6 settembre 2018 il disegno di legge che contiene le disposizioni di delega necessarie per l’adozione delle direttive dell’Unione europea pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell’Ue, nonché per l’attuazione degli altri atti dell’Unione necessari all’adeguamento dell’ordinamento italiano al diritto europeo. Il testo in oggetto è stato presentato in Parlamento in data 26 settembre 2018 e annunciato nella seduta n. 51 della Camera dei Deputati del 27 settembre 2018 e seguirà l’ordinario iter di approvazione. Oltre a prevedere l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a nove recenti regolamenti europei, delega il Governo a recepire numerose direttive in materia di sicurezza, tra cui, in particolare, si segnalano:
• la Direttiva (Ue) 2013/59 del Consiglio del 5 dicembre 2013 recante “norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti”;
• la Direttiva (Ue) 2017/2102 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 novembre 2017 in materia di “restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche e elettroniche”;
• la Direttiva (Ue) 2017/2108 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa “alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri”.
Ebbene, in tale quadro e all’interno dell’Allegato A del citato provvedimento legislativo, rientra, altresì, la necessità di recepire nell’ordinamento italiano la Direttiva (Ue) 2398/2017 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2017, che in questa sede si intende approfondire, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro. Si segnala, a tal proposito, che il legislatore italiano è chiamato a concludere l’iter di recepimento entro la data del 17 gennaio 2020, come espressamente stabilito dall’articolo 2 della fonte europea e come ribadito dallo stesso disegno di legge nel citato Allegato A.
Giova, con ciò, esaminare i punti cardine della nuova normativa europea, nonché gli elementi inediti rispetto alla disciplina previgente della tutela dei lavoratori esposti a sostanze cancerogene, con riferimento, in particolare, agli accorgimenti da effettuarsi ad opera del datore di lavoro e ai nuovi obblighi cui devono conformarsi gli Stati membri.
Direttiva 2004/37/Ce e protezione dei lavoratori
La nuova Direttiva 2398/2017 interviene, modificandola e aggiornandola, sulla precedente Direttiva 2004/37/Ce datata 29 aprile 2004 che ha, appunto, tentato di offrire in tutto il territorio europeo un’apposita tutela e protezione alla salute dei prestatori sul luogo di lavoro, in considerazione dei rischi derivanti dalle predette sostanze, prescrivendo in particolar modo delle misure preventive e requisiti minimi di garanzia (oltre a principi generali) e che continua, in ogni caso, a rappresentare la fonte europea di riferimento sul tema.
Al riguardo, occorre premettere come, in termini squisitamente generali, per “agenti cancerogeni” debbano intendersi gli agenti chimici che, per inalazione, ingestione ovvero contatto, possano provocare neoplasie e, per “agenti mutageni”, gli agenti chimici idonei a provocare alterazioni genetiche e, nello specifico, un “cambiamento permanente nella quantità o nella struttura del materiale genetico di una cellula con conseguente mutamento nelle caratteristiche fenotipiche della suddetta cellula, che può essere trasferito alle cellule figlie discendenti” (vedasi, in tal senso, Direttiva 2004/37/Ce, considerando n. 5). Orbene, a norma della Direttiva del 2004, sono prescritte varie cautele e adempimenti a carico del datore di lavoro e da cristallizzarsi in norme interne dagli Stati membri, da porre in essere ogniqualvolta l’attività lavorativa cui sono adibiti tutti o parte dei prestatori alle proprie dipendenze ne comporti l’esposizione alle suesposte sostanze.
In primo luogo, risulta sempre necessario effettuare – e rinnovare periodicamente – una compiuta valutazione del rischio che tenga conto della natura, del grado e della “durata dell’esposizione dei lavoratori” e ne definisca i possibili pregiudizi arrecabili alla salute o alla sicurezza degli stessi e determini, al contempo, le misure di cui si propone l’adozione (art. 3, Direttiva 2004/37/Ce). Nell’ambito di tale valutazione devono, altresì, essere presi in considerazione tutti i possibili modi di esposizione, “come quelli in cui vi è assorbimento cutaneo”. Dopodiché, il datore di lavoro è onerato del rispetto di vari obblighi che occorre sinteticamente – e non esaustivamente – richiamare:
• obbligo di riduzione e di sostituzione: laddove ciò sia concretamente e tecnicamente possibile, questi deve sempre tentare di ridurre l’utilizzazione di una sostanza cancerogena o mutagena nell’ambito della propria attività e – ancora una volta, ove possibile – sostituirla con “una sostanza, un preparato o un procedimento” non nociva (o meno nociva) per la salute e la sicurezza dei lavoratori coinvolti (art. 4);
• obbligo di informazione: nel caso in cui dalla valutazione del rischio di cui sopra emerga l’effettiva possibilità di danni alla salute e alla sicurezza, il datore deve rendere edotta l’autorità competente delle attività svolte in azienda e dei processi industriali applicati, delle motivazioni dell’utilizzo delle predette sostanze, dei quantitativi delle sostanze impiegate, del numero di lavoratori esposti e della natura e grado dell’esposizione, delle misure di prevenzione adottate e equipaggiamenti protettivi utilizzati, dei casi di sostituzione (art. 6);
• obbligo di predisposizione di zone di rischio: il datore deve rendere le aree ove si registri l’utilizzo degli agenti cancerogeni o mutageni accessibili esclusivamente ai lavoratori ivi impiegati (art. 9); tali zone, peraltro, devono risultare opportunamente contrassegnate e delimitate fisicamente;
• obbligo di misure igieniche e protezione individuale: è necessario adottare, senza che ciò possa comportare costi di qualsiasi genere in capo al dipendente stesso, misure di igiene e protezione, grazie alle quali evitare che i lavoratori “mangino, bevano o fumino nelle aree di lavoro in cui esiste un rischio di contaminazione”, che gli indumenti civili e da lavoro siano riposti negli stessi luoghi e che i servizi igienici messi a disposizione degli stessi lavoratori siano inappropriati o inadeguati (art. 10); agli stessi lavoratori devono, peraltro, essere consegnati adeguati indumenti protettivi o altri indumenti speciali (sulla base delle esigenze del caso concreto), nonché equipaggiamenti protettivi da controllare e ripulire “se possibile prima, e comunque, dopo ogni utilizzazione” e, se difettosi, da riparare o sostituire “prima di essere nuovamente utilizzati”;
• obblighi di formazione: tutti i dipendenti coinvolti nelle attività rischiose devono essere adeguatamente formati ed istruiti dal datore di lavoro ed essere, in particolare, resi edotti dei rischi sugli stessi gravanti, delle precauzioni e misure da prendere in linea generale e nello specifico caso di incidenti, delle indicazioni in materia di indumenti ed equipaggiamenti (art. 11); i lavoratori devono, altresì, essere resi sufficientemente edotti circa gli impianti, i contenitori e gli imballaggi che contengono agenti cancerogeni e mutageni, anche per mezzo di etichette e di segnali di avvertimento che li indichino in maniera “univoca e chiaramente leggibile” (art. 11, comma 2).
La normativa italiana: il D.Lgs. n. 81/2008
Quanto al quadro normativo italiano, giova rilevare che il legislatore si è adeguato alla prescrizioni di cui alla Direttiva del 2004 nell’ambito dell’approvazione del Testo unico in materia di sicurezza sul lavoro (Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81) e successive modificazioni, per mezzo del quale si è provveduto a razionalizzare, riunire ed armonizzare i vari interventi legislativi succedutesi negli anni in materia di sicurezza e che sarà, peraltro, oggetto di ulteriori modifiche in vista, appunto, del necessario recepimento della Direttiva (Ue) 2398/2017. Il Decreto, in particolare, riserva al Titolo IX (“Sostanze pericolose”), Capo II la disciplina degli agenti cancerogeni e mutageni. Va, in proposito, segnalato come, tra gli “agenti cancerogeni”, il Decreto individui qualsivoglia miscela o sostanza individuata dal Regolamento Ce, 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio (allegato I) nelle categorie 1A o 1B e, quindi, rispettivamente, sostanze per le quali siano noti effetti cancerogeni per l’uomo sulla base di studi effettuati sullo stesso (1A) e sostanze di cui si presumono effetti cancerogeni per l’uomo, prevalentemente sulla base di studi su animali (1B). Nello specifico caso dei primi, la riconducibilità alla categoria deriva dall’accertamento di un rapporto di causalità tra “l’esposizione umana a una sostanza e l’insorgenza del cancro”, mentre, per i secondi, dalla dimostrazione di effetti cancerogeni sugli animali (vedasi, ancora, Regolamento Ce, 1272/2008, Allegato I). Ebbene, nel prescrivere i necessari adempimenti a carico del datore di lavoro, il D.Lgs. n. 81/2008 da un lato riprende pressoché pedissequamente gli obblighi suesposti di cui alla Direttiva del 2004 e, in particolare, in materia di valutazione del rischio, obblighi di sostituzione, obblighi di informazione e formazione e, dall’altro, fissa ulteriori – e inediti – vincoli, tra cui si segnalano per rilevanza:
• in materia di valutazione del rischio, l’obbligo di effettuarne una nuova ogniqualvolta si registrino “modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute sul lavoro” e, comunque, trascorsi tre anni dall’ultima valutazione compiuta (art. 236, comma 5);
• in materia di formazione dei lavoratori coinvolti, l ’obbligo di ripetizione almeno quinquennale (art. 239, comma 3).
Per di più, il legislatore ha, altresì, previsto che, nell’adottare idonee misure tecniche, organizzative e procedurali per ridurre e gestire i rischi, il datore debba, tra gli altri, assicurarsi che la raccolta e l’immagazzinamento (ai fini dello smaltimento degli scarti e dei residui delle lavorazioni contenenti agenti cancerogeni) “avvengano in condizioni di sicurezza”, servendosi, nello specifico, di “contenitori ermetici etichettati in modo chiaro, netto, visibile” (art. 237, comma 1, lett. h)). Inoltre, lo stesso datore è onerato di ottenere un parere da parte del medico competente – e disporre conseguentemente misure protettive particolari – in tutti i casi in cui ad entrare in contatto con le sostanze in oggetto siano quelle “categorie di lavoratori per i quali l’esposizione a taluni agenti cancerogeni o mutageni presenta rischi particolarmente elevati” (art. 237, comma 1, lett. i)).
La Direttiva (Ue) 2398/2017 e i nuovi valori limite
Come anticipato, la recente Direttiva (Ue) 2398/2017, già entrata in vigore e di cui si attende il definitivo recepimento in Italia, ha introdotto talune novità nella disciplina degli agenti cancerogeni e mutageni di cui alla Direttiva 2004/37/Ce e alla stessa, con tutta probabilità, seguirà un aggiornamento del D.Lgs. n. 81/2008 nell’ordinamento italiano. Tra le prescrizioni di cui alla Direttiva del 2004/37/Ce, veniva imposta agli Stati membri l’adozione di provvedimenti che assicurassero un’”adeguata sorveglianza della salute dei lavoratori” laddove dall’effettuazione della valutazione del rischio di cui all’art. 3 emergessero concreti pericoli per la salute dei lavoratori. A tal proposito, con il nuovo intervento normativo, il legislatore europeo si preoccupa di ampliare la misura – e l’obbligo di sorvegliare gli effetti – anche in seguito all’effettivo periodo di esposizione. Viene, in questo senso, attribuito al medico o all’autorità eventualmente responsabile l’onere di segnalare, quando occorrente, “che la sorveglianza sanitaria debba proseguire al termine dell’esposizione per il periodo di tempo che ritiene necessario per proteggere la salute del lavoratore interessato” (art. 14, par. 1, Direttiva 2004/37/Ce, come modificato dall’art. 1, Direttiva Ue 2398/2017). Si segnala, peraltro, che “tutti i casi di cancro che, in conformità delle leggi o delle prassi nazionali, risultino essere stati causati dall’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante l’attività lavorativa, devono essere notificati all’autorità responsabile” (art. 14, par. 8).
Ad ogni modo, le modifiche più rilevanti della Direttiva riguardano l’aggiornamento delle sostanze cui apprestare le cautele necessarie e una revisione dei valori limite di esposizione professionale. Trattasi, nello specifico, di strumenti di gestione del rischio consistenti in indicatori o soglie individuati convenzionalmente e con riferimento ad una precisa sostanza cancerogena, al di sotto dei quali si presume non dannosa o scarsamente dannosa l’esposizione del lavoratore. Detti valori, fissati a livello legislativo al fine di tutelare i lavoratori coinvolti, indicano “il limite della concentrazione media ponderata nel tempo di un agente chimico nell’aria all’interno della zona di respirazione di un lavoratore in relazione ad un determinato periodo di riferimento” (vedasi, in tal senso, art. 222, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008).
Le elaborazioni della ricerca scientifica hanno da tempo rilevato come sia concretamente arduo classificare in termini matematici una soglia sotto la quale ritenere l’attività totalmente scevra da pericoli per la salute, posti i vari fattori che li determinano. E, in effetti, anche la stessa Direttiva, nelle premesse, si preoccupa di specificare che per la maggior parte degli agenti cancerogeni e mutageni “non è scientificamente possibile individuare livelli al di sotto dei quali l’esposizione non produrrebbe effetti nocivi” (vedasi considerando n. 3), rimanendo, con ciò, in capo al dipendente che nello svolgimento della propria attività ne entri in contatto sul luogo di lavoro, un rischio residuo. Dette soglie si prestano, comunque, a rappresentare un valido strumento di prevenzione e di limitazione degli effetti pregiudizievoli. Ebbene, all’art. 1, comma 5, la nuova Direttiva cancerogeni sostituisce i valori limite (calcolati in relazione ad un periodo di riferimento di otto ore) degli agenti degni di attenzione, precedentemente fissati dall’articolo 16 (allegato III) della Direttiva 2004/37Ce – e prevedendone di ulteriori – come segue:
• polveri di legno duro: valore limite 2 mg per metro cubo e, in via transitoria, fissato in 3 mg per metro cubo sino alla data del 17 gennaio 2023 (precedentemente 5 mg per metro cubo);
• composti di cromo: valore limite 0,005 mg per metro cubo e, in via transitoria, fissato in 0.010 mg per metro cubo sino alla data del 17 gennaio 2025 (valore di nuova introduzione);
• fibre ceramiche refrattarie: valore limite 0,3 fibre per millimetro (valore di nuova introduzione);
• polvere di silice cristallina respirabile: valore limite 0,1 mg per metro cubo (valore di nuova introduzione);
• benzene: valore limite 3,25 mg per metro cubo (rimasto invariato);
• cloruro di vinile monomero: valore limite 2,6 mg per metro cubo (precedentemente 7,77 mg per metro cubo);
• ossido di etilene: valore limite 1,8 mg per metro cubo (valore di nuova introduzione);
• epossipropano: valore limite 2,4 mg per metro cubo (valore di nuova introduzione);
• acrilamide: valore limite 0,1 mg per metro cubo (valore di nuova introduzione);
• nitro propano: valore limite 18 mg per metro cubo (valore di nuova introduzione);
• toluidina: valore limite 0,5 mg per metro cubo (valore di nuova introduzione);
• butadiene: valore limite 2,2 mg per metro cubo (valore di nuova introduzione);
• idrazina: valore limite 0,013 mg per metro cubo (valore di nuova introduzione);
• bromoetilene: valore limite 4,4 mg per metro cubo (valore di nuova introduzione).
Ne consegue che, primariamente, ad essere oggetto di modifica in ambito italiano dovrà essere l’Allegato XLIII, D.Lgs. n. 81/2008, con riferimento, in particolar modo, ai limiti di esposizione alle polveri di legno duro, nonché al cloruro di vinile monomero e ben potendo il legislatore, ad ogni modo, pervenire anche alla determinazione di soglie superiori (ai sensi del considerando 1: “… gli Stati membri hanno facoltà di stabilire valori limite vincolanti di esposizione professionale più rigorosi”). A ciò si aggiunga un’ulteriore – e marginale previsione: gli Stati membri, a norma dell’art. 1, comma 1, Direttiva Ue 2398/2017, che introduce un nuovo comma all’art. 6, Direttiva del 2004, sono chiamati a tenere adeguatamente conto “delle informazioni di cui alle lettere da a) a g)” del primo comma dell’art. 6 (attività svolte e processi industriali applicati, numero di lavoratori esposti, ecc.) all’interno delle proprie relazioni ex art. 17-bis Direttiva 89/391/Ce che, occorre sottolineare, constano in documenti da trasmettere alla Commissione europea ogni cinque anni e con cui aggiornare lo stesso organo in merito all’attuazione di talune direttive, indicando il parere delle parti sociali.
Sostanze tossiche per la riproduzione
Al netto dei principi potenzialmente già recepibili, la nuova Direttiva cancerogeni prescrive, altresì, l’impegno da parte della Commissione di valutare l’eventuale introduzione delle sostanze tossiche per la riproduzione nell’ambito della disciplina dei cancerogeni e mutageni. A ben vedere, infatti, da tempo le organizzazioni sindacali europee, sulla base delle ultime ricerche, hanno sollecitato interventi in tal senso, sia con riferimento alle sostanze in oggetto che, invero, ai c.d. “interferenti endocrini”. Le sostanze tossiche per la riproduzione, o “composti reprotossici” (rinvenibili, a titolo meramente esemplificativo, nel piombo e in talune tipologie di vernici) sono, appunto, agenti idonei ad arrecare nel tempo pregiudizi per la riproduzione umana. Tra i più frequenti effetti dannosi (riscontrati in caso di esposizione prolungata) si segnalano conseguenze negative sulla libido, sulla formazione di spermatozoi e ovuli, sulla fecondazione, sino ad arrivare alla possibilità di aborti spontanei, nonché a difetti e alterazioni in capo al bambino stesso e alla sua capacità di sviluppo. In effetti, anche procedendo ad una lettura del c.d. “regolamento Reach” (Registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals), ossia il Regolamento (Ce) 1907/2006, che dall’atto della sua emanazione ha tentato di migliorare la conoscenza dei pericoli e dei rischi relativi alle sostanze chimiche senza recare nocumento alla competitività e al progresso dell’industria chimica, si nota come i composti reprotossici siano inseriti tra le sostanze “estremamente preoccupanti” di cui all’art. 57 e, come tali, non utilizzabili in assenza di autorizzazione per un uso specifico e della dimostrazione di condizioni di sicurezza adeguate. Nell’elencare gli agenti soggetti a quanto sopra, infatti, il Reach, unitamente alle sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche, nonché quelle che perturbino il sistema endocrino, indica espressamente in un’unica voce le “sostanze cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione (Cmr) di categoria 1A o 1B, ai sensi del Regolamento Clp”, cosicché l’esclusione delle ultime dalla disciplina della Direttiva del 2004 e dei valori limite di esposizione appare quanto meno incoerente.
Ebbene, ai sensi dell’art. 1, comma 3, Direttiva Ue 2398/2017 la Commissione europea deve valutarne l’inserimento “tenendo conto degli ultimi sviluppi nelle conoscenze scientifiche” e, in ogni caso, “entro il primo trimestre del 2019”, con la possibilità che a ciò consegua la presentazione di un’apposita “proposta legislativa, previa consultazione delle parti sociali”. Non occorrerà, con ciò, attendere molto per verificare l’effettiva presentazione di proposte in questo senso che non può che considerarsi opportuna, posto che, attualmente, la disciplina riservata alle sostanze reprotossiche è contenuta nella normativa sugli agenti chimici, assai meno rigida e rigorosa rispetto all’ipotesi dei cancerogeni.