In caso di trasferimento, seppur ritenuto illegittimo, non può essere riconosciuto al lavoratore il diritto automatico di rifiutare l’esecuzione della prestazione. E’ l’assunto che emerge, tra le altre, dalla recente sentenza della Cassazione 11408 dell’11 maggio 2018: al netto dei precedenti contrasti interpretativi, la pronuncia ha sancito che dal principio di corrispettività della prestazione lavorativa (articolo 1460, comma 2 del Codice civile) discende la necessità di operare una comparazione di interessi.

In particolare, quand’anche il datore di lavoro si renda protagonista di un inadempimento del contratto (quale è la disposizione di un trasferimento non sorretto dai presupposti di legge), questo non legittima la scelta di astenersi dal rendere la prestazione, se questa si rivela contraria al principio di buona fede. Il datore di lavoro deve, con ciò, prestare particolare attenzione ai requisiti che legittimano il trasferimento. In altri termini, occorre che le ragioni tecniche, organizzative e produttive addotte a motivazione del cambio di sede siano effettivamente sussistenti o, quanto meno, dotate di rilievo. Il giudice eventualmente investito della questione è chiamato a effettuare un giudizio di proporzionalità tra l’inadempimento datoriale e la “funzione economico-sociale del contratto” di lavoro. Appare evidente che, indipendentemente dall’effettiva legittimità o meno del provvedimento adottato dal titolare, maggiore sarà l’aderenza della scelta al dettato normativo (si veda, in particolare, l’articolo 2103 del Codice civile), minori saranno le probabilità che, nella valutazione, la condotta inadempiente del dipendente sia ritenuta conforme alla buona fede contrattuale. Infatti, sotto questo profilo, la stessa Corte ha rilevato che, se il motivo dell’illegittimità del trasferimento è “non grave” ovvero “di scarsa importanza“, la sospensione della prestazione operata dal lavoratore deve ritenersi ingiustificata.

Questo non significa che al prestatore sia del tutto precluso il rifiuto di svolgere le proprie mansioni in assenza di una pronuncia giudiziale sulla illegittimità del trasferimento, ma può dirsi come, aderendo a tale interpretazione, la scelta di non adempiere risulti particolarmente rischiosa e, in ogni caso, da limitare a circostanze di palese contrarietà alla legge del provvedimento.

Le argomentazioni richiamate comportano ricadute ingenti, in particolar modo sul fronte dei licenziamenti. Nel caso, infatti, in cui il giudizio di proporzionalità (tra i due inadempimenti) si risolva in favore del datore di lavoro, la naturale conseguenza è rappresentata dalla piena legittimità del provvedimento espulsivo per mancata presentazione in servizio del lavoratore.

Contributo pubblicato su “IL SOLE 24 ORE”