Forma scritta e adeguamento retributivo. Sono due condizioni richieste per poter ammettere nel rapporto di lavoro part-time, clausole che consentano di variare l’orario della prestazione (al ricorrere di determinate e tassative condizioni, individuate dall’articolo 6, comma 4, del D.Lgs. 81/2015). Alla luce delle sue peculiarità, il contratto di lavoro a tempo parziale si caratterizza, per sua natura e in base alla costante giurisprudenza, per una necessaria predeterminazione del periodo in cui dev’essere prestata l’attività. Le clausole che variano l’orario, quindi, rappresentano una deroga alla regola generale atta a predeterminare, come detto, la natura della prestazione lavorativa e, quindi ad escludere il potere del datore di una modifica unilaterale dell’orario.

Recentemente, la Corte di Cassazione, con ordinanza 6900 del 20 marzo 2018, nel dichiarare l’illegittimità di una clausola “elastica a chiamata” (un esempio di clausola elastica, con cui, oltre all’orario effettivo, il lavoratore offre la disponibilità all’eventuale “chiamata” del datore per svolgere attività ulteriore) ha offerto spunti di riflessione sui requisiti necessari per la legittimità di queste pattuizioni e sulle conseguenze del loro mancato rispetto. La normativa vigente e la giurisprudenza ammettono la possibilità di apporre sia clausole elastiche, con le quali il datore può ampliare la durata dell’orario, sia clausole flessibili, atte a consentire uno spostamento della collocazione temporale della prestazione.

La forma del patto

Un presupposto della validità di queste clausole è che risultino da un patto scritto espressamente sottoscritto dal lavoratore, e che siano contenute nel contratto o, in alternativa, qualora siano stipulate in un momento successivo, che la relativa pattuizione abbia data anteriore alla richiesta di variazione. Nessuna efficacia può essere attribuita a previsioni di variazione dell’orario di contenuto generico e sottoposte alla condizione “meramente potestativa” dell’insorgenza di esigenze aziendali (Tribunale di Milano, sentenza 1556/2017). Al datore è poi concesso di richiedere lo svolgimento di lavoro supplementare, e ciò però nel rispetto dei limiti posti dal Ccnl (o, in loro assenza, dei limiti previsti dall’articolo 6 comma 2 del Dlgs 81/2015) e senza che il rifiuto possa essere addotto a motivo di recesso.

Il fronte retributivo

La maggiore onerosità della prestazione, derivante dall’apposizione delle condizioni citate nel contratto deve, per costante giurisprudenza, essere accompagnata da un adeguamento retributivo, oltre cha da un congruo preavviso (Cassazione, sentenza 4229/2016). Un principio questo ribadito anche dalla recente pronuncia della Cassazione, in base alla quale la mera disponibilità alla chiamata, seppur non “equiparata a lavoro effettivo”, comporta un’offerta di energie lavorative superiore al normale orario della prestazione. Per la Corte, che ha riconosciuto un risarcimento al lavoratore, nel calcolo della retribuzione spettante al dipendente vanno anche quantificati: le difficoltà di programmazione di altre attività, l’entità del preavviso, il rapporto tra ore normalmente prestate e ore eccedenti. Questi elementi fungono da parametro anche per il giudice nella valutazione equitativa sul risarcimento. Ove, infatti, le clausole siano illegittime (perché, ad esempio, non rispettose delle formalità citate o non previste dal contratto collettivo) o il datore non retribuisca la disponibilità del lavoratore, questi può agire per l’accertamento di un danno risarcibile. Peraltro, giova rilevare come il pregiudizio possa essere considerato anche in re ipsa, ossia la mera sussistenza di una disponibilità – non retribuita – del lavoratore alla variazione può comportare un danno di per sè, con condanna del datore alla corresponsione di un importo valutato equitativamente dal giudice.

In ogni caso, trattandosi di responsabilità che la giurisprudenza ha definito di natura contrattuale, il lavoratore è agevolato dal punto di vista del riparto dell’onere probatorio, che grava sul datore di lavoro.

FLESSIBILITA’ SPINTA DALLA REVISIONE DI ACCORDI E CLAUSOLE

Nella revisione complessiva dei contratti di lavoro operata con il Dlgs 81/2015 in attuazione del Jobs Act, sono state introdotte novità importanti anche per il rapporto di lavoro part-time e per le possibili clausole di variazione temporale della prestazione.

Il legislatore ha provveduto, in primo luogo, a “positivizzare” la necessaria indicazione, nel contratto di lavoro, della collocazione temporale dell’orario lavorativo. In base all’articolo 5 del Dlgs 81/2015, infatti, diventa indispensabile una sua precisa individuazione “con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno”.

Lavoro supplementare

Al Jobs Act si deve anche un deciso alleggerimento per il datore sulla possibilità di ottenere, da parte del prestatore part time, attività lavorativa supplementare. Il decreto consente, infatti, di richiedere l’esecuzione della prestazione oltre l’orario pattuito nel contratto di lavoro, anche in assenza di una specifica previsione in questo senso nel contratto collettivo. Si tratta di un’eventualità non priva di limiti, posto che lo stesso legislatore si è preoccupato di prescrivere una misura massima di variazione, individuata nel 25% dell’orario settimanale, e la quantificazione della maggiorazione retributiva dovuta (pari al “15% della retribuzione globale oraria di fatto”).

Si registra, altresì, un’inedita assimilazione concettuale tra la fattispecie della clausola “elastica” e la clausola “flessibile”, comprendendo, dall’entrata in vigore della disposizione in poi, il 25 giugno 2015, con un’unica definizione (clausola elastica) qualsivoglia pattuizione modificativa dell’orario di lavoro e, quindi, la variazione della collocazione temporale della prestazione e il relativo aumento.

Clausole elastiche

Anche con riferimento a queste clausole, il Jobs act ha ridotto in maniera significativa il peso da attribuire alla contrattazione collettiva e alla definizione da parte della stessa delle condizioni di apposizione. Al netto di previsioni dei Ccnl, alle parti è concesso liberamente, in base all’articolo 6 comma 6, del D.Lgs. 82/2015, di sottoscrivere una clausola elastica, purché nel rispetto di specifiche formalità. In particolare, ai fini della validità della pattuizione, la norma impone la relativa sottoscrizione davanti a una commissione di certificazione, con la possibilità per il lavoratore “di farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce”, o da un avvocato o consulente del lavoro, oltre a prevedere, analogamente al lavoro supplementare, un limite massimo alla possibile variazione pari al 25% (“della normale prestazione annua a tempo parziale”), e la necessaria maggiorazione retributiva pari al 15 per cento.

Alla libera contrattazione delle parti sono rimesse le condizioni di modifica dell’orario ed eventualmente di comunicazione da parte del datore. Sono comunque illegittime le clausole che impongono una variazione senza un preavviso minimo al lavoratore di due giorni lavorativi.

Contributo pubblicato su “IL SOLE 24 ORE”