In questa sede si intende esaminare il tema della disciplina delle registrazioni audio di conversazioni avvenute in presenza del soggetto autore della registrazione, tema che viene usualmente associato alle problematiche del regime probatorio nel procedimento penale e che, invece, ha rilevanza anche nel diritto processuale civile lato sensu includendo, quindi, in tale concetto anche il processo del lavoro.

A tal proposito occorre richiamare la disciplina dell’art. 2712 cod. civ.: “le riproduzioni fotografiche , informatiche o cinematografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti o di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. La registrazione audio, quindi, altro non è se non una prova documentale precostituita contemplata dal codice civile nel disposto dell’articolo sopra menzionato e che, al pari di tutte le altre prove di cui all’articolo citato, per la sua acquisizione al processo necessita solo della produzione o dell’esibizione in giudizio ad opera della parte.

Si rileva in merito che, per rendere immediatamente “fruibile” la prova da parte del magistrato e della controparte (al fine anche di evitare eccezioni in merito alla lesione del diritto di difesa), sarà opportuno depositare, unitamente al supporto contenente la registrazione, anche la relativa trascrizione e/o formulare istanza affinchè il relativo contenuto venga trascritto da un consulente tecnico nominato dal Giudice.

Al riguardo si osserva che, al pari di ciò che avviene per le prove documentali precostituite, per le registrazioni o riproduzioni audio non si pone mai un problema di ammissibilità, ma semmai solo di utilizzabilità, ciò significa che la controparte non potrà mai opporsi fondatamente alla allegazione né il Giudice potrà legittimamente vietare la produzione od ordinarne l’espunzione dal fascicolo di causa, così come accade per le prove documentali precostituite. Naturalmente, in sede di decisione ed unitamente a tutte le altre prove acquisite nel corso del giudizio il Magistrato si pronuncerà in merito alla possibilità di utilizzare tale allegazione e ciò sia sotto il profilo della ritualità della relativa produzione sia della rilevanza della prova ai fini processuali.

Come si è accennato prima, ai sensi del disposto dell’art. 2712 cod. civ., l’efficacia probatoria della registrazione può essere messa in discussione solo dalla parte contro la quale questa viene fatta valere e ciò attraverso l’istituto del disconoscimento (artt. 214 e segg. e 293 cod. proc. civ.): la controparte ha l’onere alla prima udienza o nel primo atto di risposta (successivo alla acquisizione di tale prova) di contestare la veridicità dei fatti contenuti nella registrazione allegata.

La giurisprudenza è costante nel ritenere che affinchè la registrazione perda l’efficacia di prova documentale è necessario che il disconoscimento non sia generico ma chiaro, circostanziato ed esplicito. La Suprema Corte, sezione lavoro, ha in merito giudicato infatti che: “E’ principio di questa Corte, condiviso dal Collegio, che l’efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. è subordinata – in ragione della formazione al di fuori del processo e senza le garanzie dello stesso – all’esclusiva volontà della parte contro la quale esse sono prodotte in giudizio, concretantesi nella non contestazione che i fatti, che tali riproduzioni tendono a provare siano realmente accaduti con le modalità risultanti dalle stesse. Il relativo “disconoscimento”- che fa perdere alle riproduzioni stesse la loro qualità di prova e che va distinto dal “mancato riconoscimento”, diretto od indiretto, il quale,invece, non esclude che il Giudice possa liberamente apprezzare le riproduzioni legittimamente acquisite – pur non essendo soggetto ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 c.p.c., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito dovendo concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta” (Cassazione sezione lavoro 28 gennaio 2011 n. 2117; in senso conforme: Cassaz. 3 luglio 2001 n. 8998 e Cassaz. 22 aprile 2010 n. 9526).

E’ importante sottolineare il fatto che nel caso di disconoscimento, tuttavia, le registrazioni non divengono completamente inutilizzabili ma possono costituire comunque elementi che, unitamente alla altre allegazioni, possono fondare il convincimento del Giudice.

E’ opportuno analizzare anche la disciplina in merito del diritto penale nonché la normativa a tutela della privacy al fine di verificare anche sotto tali ulteriori profili la dichiarata legittimità della produzione in argomento.

Si evidenzia che per il diritto penale non costituisce un illecito la registrazione di una conversazione tra presenti. La Cassazione penale ha giudicato che: “non è illecito registrare una conversazione perché chi conversa accetta il rischio che la conversazione sia documentata mediante registrazione” (così Cassaz. pen., sez. III, sent. 13 maggio 2011, n. 18908, in Massimario.it – 31/2011). Dal punto di vista del diritto penale, infatti, non rileva il fatto che la riproduzione venga utilizzata senza il consenso della parte che non era a conoscenza che il colloquio fosse registrato.

Si segnala in merito, una recentissima sentenza della Cassazione penale ( 3 febbraio 2017 n. 5241) con cui la Suprema Corte ha ribadito la liceità dell’utilizzo di registrazioni audio e video come prove documentali. In particolare, con la sentenza citata, si è chiarito che non vi è alcun limite al fatto che un soggetto registri, magari anche tramite il proprio smartphone, una conversazione con un’altra persona senza necessità che quest’ultima debba essere preventivamente informata. Il principio ribadito da tale decisione è che: “le registrazioni, video e/o sonore, tra presenti, o anche di una conversazione telefonica, effettuata da uno dei partecipi al colloquio, o da una persona autorizzata ad assistervi (..)costituisce prova documentale valida e particolarmente attendibile, perché cristallizza in via definitiva ed oggettiva un fatto storico”. Ciò, anche perché, prosegue la Suprema Corte, “la persona che registra (o come nel caso nostro, che viene filmata dallo stesso autore del fatto)..è pienamente legittimata a rendere testimonianza, e quindi la documentazione del colloquio esclude qualsiasi contestazione sul contenuto dello stesso”.

La giurisprudenza anche di legittimità ha riconosciuto che le moderne tecniche di registrazione, alla portata di tutti, quali telefoni cellulari smart, ecc. che posseggono le funzionalità audio e video e l’uso di applicazioni dedicate alla registrazione audio e video, consentono una documentazione oggettiva e non contestabile e come tali un’occasione di acquisire una prova importante a livello processuale (Cassaz. pen. 3 febbraio 2017 n. 5241, in senso conforme: Cassaz. pen. 8 marzo 2010 n. 9132). Sotto il profilo penalistico, qualora la registrazione avvenga da parte di un partecipante alla stessa non è configurabile quindi l’ipotesi di reato di cui all’art. 615-bis c.p. (“Interferenze illecite nella vita privata”) e la registrazione trova pieno utilizzo probatorio nel processo. Ovviamente, quanto affermato in sede penale dalla Suprema Corte vale anche nel processo civile e del lavoro dove, in virtù delle disposizioni sopra richiamate, le video-registrazioni sono come detto prove documentali.

Anche per ciò che riguarda la normativa a tutela della privacy non è ravvisabile alcun illecito, si evidenzia, infatti, che la normativa stessa si può ritenere violata solo se il contenuto della registrazione sia diffusa indebitamente, per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio od altrui, integrando così il reato di cui all’art. 167 d.lgs. 196 del 2003 e successive modificazioni ed integrazioni.

Il trattamento dei dati personali, ammesso di norma in presenza del consenso dell’interessato, può essere, eseguito anche senza che a questi sia data l’informativa di cui all’art. 13, comma 1 del citato decreto e, anche in assenza di consenso, se, come statuisce l’art. 24, comma 1, lettera f), è volto a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o per svolgere le investigazioni difensive previste dalla legge 397/2000, e ciò a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.

Infatti, secondo le norme del Codice della Privacy, ed in particolare l’art. 13, comma 5, lett. b) prescrive espressamente l’utilizzo di quanto registrato occultamente “ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000 n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”.

Al pari anche il trattamento dei dati sensibili, per i quali è richiesto il consenso scritto dell’interessato e l’autorizzazione del Garante (art. 26, comma 1) se eseguito per le finalità di cui sopra, può prescindere dal consenso (art. 26, comma 4, lett.c).

Analogo discorso, in ultimo, se i dati trattati siano idonei a rivelare lo stato di salute e/o la vita sessuale (c.d. dati supersensibili): a condizione che il diritto da tutelare sia di livello pari e, quindi, consista in un diritto alla personalità o in altro diritto fondamentale e/o di rango costituzionale e inviolabile (art. 26, comma 4, lett. c) seconda parte).

Questa la disciplina in generale che è stata recepita espressamente anche in ambito giuslavoristico, infatti, la Suprema Corte di Cassazione sez. lavoro ha ribadito che: “la registrazione fonografica di un colloquio tra presenti, rientrando nel “genus” delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 cod. civ., ha natura di prova ammissibile nel processo civile del lavoro. La sentenza ha giudicato che il dipendente è autorizzato a registrare la conversazione con il proprio datore di lavoro se ciò è necessario per far valere un proprio diritto in Tribunale in un eventuale procedimento sia civile sia penale, anche in considerazione del fatto che i colleghi del lavoratore stesso, una volta chiamati a rendere la deposizione testimoniale, difficilmente si comprometteranno per difendere ad esempio un collega vessato e ciò all’evidente fine di evitare possibili ritorsioni (Cassaz. sez. lav., 29 dicembre 2014 n. 27424, in CED Cassazione, 2014).

Per quanto sopra, la registrazione operata dal lavoratore ed avente ad oggetto un colloquio con il proprio datore di lavoro, non integra illecito disciplinare. Né tale condotta, comunque scriminata ex art. 51 cod. pen., in quanto esercizio del diritto di difesa, la cui esplicazione non è limitata alla sede processuale, può ritenersi lesiva del rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro, che concerne esclusivamente l’affidamento di quest’ultimo sulle capacità del dipendente di adempimento dell’obbligazione lavorativa (Cassaz. sez. lav., 29 dicembre 2014 n. 27424, in CED Cassazione, 2014; in senso conforme: Cass. sent. n. 9526/10; Cass. sent. n. 27157/08). Ciò significa una sola cosa: se la registrazione della conversazione costituisce prova valida per il processo, in nessun caso la sua effettuazione può essere considerata illecita, neanche da un punto di vista disciplinare.

Nessun illecito dunque per la registrazione.

L’orientamento della Suprema Corte di Cassazione negli anni è stato non solo quello di ammettere le registrazioni raccolte all’insaputa degli altri partecipanti alla conversazione, ma di estenderle anche ai colloqui, alle riunioni ed alle telefonate, affermando che le registrazioni sono perfettamente lecite ed hanno lo stesso valore di una prova scritta. Nel caso in cui il soggetto che registra la conversazione o la telefonata è parte di essa, il cellulare, registratore o altro dispositivo utilizzato non farebbe altro che memorizzare digitalmente ciò che il nostro udito già capta di suo.

Si può concludere che la registrazione di una conversazione o di una telefonata è sempre ammessa ed utilizzabile giudizialmente, e ciò anche se il nostro interlocutore sia totalmente all’oscuro del nostro intento.

Il legislatore opera quindi un bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti laddove consente a chi ha bisogno per agire o per difendersi davanti ad un Giudice di trattare i dati personali della sua controparte di utilizzare gli stessi, il diritto alla riservatezza (aspettativa che la notizia comunicata ad altri non sia da questi resa nota a terzi senza il proprio consenso) cede quindi il passo rispetto all’esigenza di formazione della prova processuale.

Da ultimo si evidenzia che, nonostante sia sconsigliabile esporsi al rischio di incorrere in responsabilità penale e/o risarcitoria, anche nell’ipotesi in cui il contenuto della registrazione allegata fosse lesivo del diritto alla riservatezza , tale circostanza di per sé non rende la prova inutilizzabile e/o irrilevante ai fini istruttori in sede civile, il Giudice potrebbe pertanto legittimamente utilizzarla ai fini probatori, allo stesso infatti è deferito il potere di giudicare quali siano le circostanze concrete che legittimino il sacrificio della “privacy”.

Si precisa, infine, che tale disciplina non va confusa con la possibilità per il datore di lavoro di effettuare controlli difensivi sull’attività del lavoratore, fattispecie del tutto diversa da quella in esame e soggetta alla nota disciplina dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori così come modificato dal D.Lgs. 151/2015, disciplina su cui ha avuto modo di esprimersi, in senso restrittivo, anche il Garante della Privacy (cfr. ad esempio: provvedimento in data 22 dicembre 2016 n. 547).

Come esula dalla disciplina di cui sopra la facoltà di registrare di nascosto sul luogo di lavoro conversazioni private di altri colleghi con violazione del loro diritto alla riservatezza, e ciò anche nel caso in cui il dipendente voglia in tal modo provare una condotta mobbizzante in proprio danno. In tale ipotesi la Suprema Corte ha ritenuto giustificato e legittimo il licenziamento (Cassaz. 21 novembre 2013 n. 26143).

Monica Lambrou

CONTRUBUTO PUBBLICATO SU HR ONLINE DI AIDP