Per mezzo dell’ordinanza n. 26624 la Corte di Cassazione si è pronunciata con riferimento ai presupposti per la dichiarazione di adottabilità del minore in situazioni di abbandono, con specifico riguardo al caso in cui il genitore si ritrovi in stato di detenzione.
Occorre preliminarmente rilevare come, ai sensi dell’art. 8 comma 1 della Legge 17 maggio 1983, n. 133 (recante “Diritto del minore ad una famiglia”), può procedersi a dichiarare lo stato di adottabilità ogniqualvolta sia accertata una privazione per il minorenne “di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi”, invero escludendosi tale possibilità allorquando le mancanze predette siano caratterizzate da “cause di forza maggiore di carattere transitorio”. Nella controversia oggetto di giudizio, il Supremo giudice era, in particolare, chiamato a valutare se la circostanza della detenzione, di per sé transitoria, potesse inquadrarsi nell’ambito delle richiamate cause di forza maggiore.
In particolare, nel caso di specie, il Tribunale per i minorenni di Bologna aveva accertato lo stato di abbandono e la conseguente adottabilità di due figlie, la cui unica figura genitoriale (il padre) risultava in regime detentivo e la sentenza era stata, poi, confermata in sede di gravame. Il ricorso alla Corte era sorretto dalla pretesa mancata considerazione, nei due gradi di giudizio, della temporaneità della situazione del padre. Per di più, a dire dei ricorrenti, a fondamento della propria pronuncia sullo stato di adottabilità i giudici investiti della questione avrebbero erroneamente limitato la ricostruzione sulla figura del genitore agli accadimenti precedenti l’arresto, omettendo di considerare la volontà espressa dallo stesso di mantenere, per l’intera durata della permanenza in carcere, i rapporti con le figlie. Più precisamente, erano stati ritenuti “inattendibili” i progetti di cura avanzati dal medesimo, in quanto considerati “del tutto astratti ed incoerenti con i suoi comportamenti pregressi”.
La Cassazione ha, in primo luogo, ricostruito i limiti che debbano porsi al diritto di essere educato all’interno della propria famiglia di origine, che vengono in rilievo allorquando i relativi componenti non siano in grado “di prestare, in via non transitoria, le cure necessarie, né di assicurare l’obbligo di mantenere, educare ed istruire la prole”. Invero, il legislatore, riguardo allo stato di abbandono, ha adottato una definizione quanto mai generale, residuando con ciò un ampio spazio in capo all’interprete il quale, per consolidata giurisprudenza, è chiamato a favorire ove possibile l’adozione di misure di carattere assistenziale che assicurino il recupero della “relazione con i genitori biologici” per supplirne l’inadeguatezza; la definitiva “frattura” dei legami con la famiglia deve, in questo senso, considerarsi quale extrema ratio (si leggano, in questo senso, Cassazione, sentenza n. 15011 del 2006, sentenze n. 23979 e n. 881 del 2015, sentenze n. 7391 e n. 13435 del 2016, sentenze n. 1932, n. 18625 e n. 26487).
Con specifico riferimento allo stato di detenzione, il giudice di legittimità, richiamando l’orientamento giurisprudenziale pressoché unanime, ha negato che possa trattarsi di un elemento idoneo ad escludere automaticamente la pronuncia sull’abbandono. Infatti, lo stato di detenzione non può, a dire della Corte, venire in rilievo quale causa di forza maggiore di carattere transitorio; ciò in quanto tale circostanza, seppur temporanea, risulta “imputabile alla condotta criminosa del genitore stesso”. In altri termini, la causa di forza maggiore può configurarsi esclusivamente ove legata ad “un ostacolo esterno posto dalla natura, dall’ambiente” ovvero “da un terzo che s’impone alla volontà del genitore” e non anche quando dipesa da un comportamento volontario (si legga, sotto tale profilo, Cassazione, sentenza n. 9949 del 2012). Per di più, la Cassazione ha affermato come, nel caso di specie, non fossero sussistenti elementi idonei a dimostrare la bontà degli intenti del genitore, posto che, per la prevalente giurisprudenza di legittimità, la situazione di mancata assistenza morale e materiale “non viene meno per effetto di una disponibilità meramente dichiarata”, ma risulta necessario, per converso, che tale disponibilità si concretizzi nell’assunzione di comportamenti o atti (giudizialmente controllabili) che escludano l’eventualità di un futuro disinteresse e conseguente abbandono del minore (in questo senso, si vedano Cassazione, sentenza n. 24679 del 2013, nonché Cassazione, sentenza n. 27197 del 2011 e sentenza n. 6288 del 2011). In altre parole, il genitore è chiamato a dimostrare concretamente la volontà di intraprendere un percorso di recupero dei rapporti, tenendo conto dell’esigenza di garantire un’equilibrata crescita del minore.