Con la recente ordinanza n. 9268 del 3 aprile 2019, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in materia di licenziamento della lavoratrice in gravidanza e, nello specifico, in merito ai casi di operatività dell’art. 54, D.Lgs. 151/2001 e della tutela dallo stesso apprestata.
Come è noto, per mezzo dell’approvazione del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nel prevedere una serie di misure “in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, il Legislatore ha specificatamente previsto, appunto all’art. 54 richiamato, un generale divieto di licenziamento della lavoratrice “dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino” ed ha, altresì, prescritto, quale conseguenza giuridica del recesso comminato in violazione di quanto sopra, la sanzione dell’assoluta nullità.
Ciò premesso, i principali dubbi interpretativi che dalla lettura delle disposizioni richiamate possono porsi riguardano il preciso momento temporale cui far risalire l’intimazione del provvedimento espulsivo, da un lato, e l’insorgenza dello stato di gravidanza, dall’altro.
Nel caso oggetto di controversia, in particolare, una lavoratrice vedeva recapitarsi una lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con efficacia posticipata alla scadenza del periodo di preavviso. Ebbene, in seguito alla comunicazione del recesso, ma prima della conclusione del periodo di preavviso, sopravveniva lo stato di gravidanza della lavoratrice, la quale, impugnando il provvedimento innanzi al giudice del lavoro, pretendeva di vedersi applicare la citata tutela ex art. 54, D.Lgs. 151/2001.
Investita della questione – in seguito alla decisione della Corte d’Appello di Ancona sfavorevole alla ricorrente –la Suprema Corte ha avuto modo di ribadire compiutamente quanto già affermato nell’ambito dei propri precedenti. In particolare, risultava necessario individuare prioritariamente il momento di perfezionamento del recesso, per verificare se, all’epoca della comminazione, lo stato di gravidanza potesse dirsi sussistente. In tal senso, il giudice ha ribadito che, trattandosi di un negozio unilaterale recettizio, esso si perfeziona nell’esatto momento in cui “la manifestazione di volontà del datore di lavoro giunge a conoscenza del lavoratore”.
A nulla rileva, al riguardo, la circostanza per la quale la relativa efficacia venga differita ad un periodo successivo (e cioè all’esito del periodo di preavviso), cosicché, continua il giudice di legittimità, qualsiasi valutazione in ordine alla sussistenza delle condizioni legittimanti l’esercizio del potere di recedere dal rapporto non può che essere “compiuta con riferimento al momento in cui detto negozio unilaterale si è perfezionato” e non già con riferimento, “ove il licenziamento sia stato intimato con preavviso, al successivo momento della scadenza del preavviso stesso”(in senso pressoché analogo, si citano Cassazione, sentenza n. 15495 del 11 giugno 2008, nonché sentenza n. 874 del 2 febbraio 1999). In effetti, proprio sulla scorta di tale assunto, già in passato la Cassazione aveva avuto modo di applicare il termine di decadenza di sessanta giorni ex art. 6, L. 604/1966 (previsto per l’impugnazione del provvedimento espulsivo) alla data della comunicazione e non al momento dell’effettiva cessazione del rapporto di lavoro (si veda, a titolo meramente esemplificativo, Cassazione, sentenza n. 6845 del 24 marzo 2014, nonché sentenza n. 7049 del 2007).
Con riferimento, invece, ad un secondo profilo, ossia quello legato alla possibile sospensione del rapporto nel corso della gravidanza, in forza di quanto disposto dall’art. 2110 c.c., la Corte è giunta a conclusioni differenti, affermando che lo stato di gravidanza “insorto durante il periodo di preavviso”, ancorché non possa costituire causa di nullità del recesso per le ragioni sopra esposte, “costituisce evento idoneo, ai sensi dell’art. 2110 c.c., a determinare la sospensione del periodo di preavviso”. Infatti, già da tempo la giurisprudenza di legittimità ha argomentato che, in ossequio al principio di sospensione del rapporto in caso di insorgenza degli eventi ex art. 2110 c.c. (rappresentati, nello specifico, dall’infortunio del lavoratore, dalla malattia, del puerperio e, appunto, dalla gravidanza) possono avere luogo due effetti:
• se l’evento (malattia, infortunio, gravidanza) interviene prima della comminazione di un licenziamento con preavviso, l’efficacia di quest’ultimo atto risulta sospesa già “fin dal momento della sua intimazione”;
• se l’evento, come effettivamente avvenuto nel caso che interessa, sopraggiunga in seguito alla comminazione, si registra, in ogni caso, “la sospensione della decorrenza del periodo di preavviso”.