La scelta dell’azienda di disdettare ante tempus il contratto collettivo cui aveva precedentemente aderito deve ritenersi legittima? Può il datore agire in tal senso astenendosi dal coinvolgere le associazioni dei lavoratori?
A tali interrogativi ha fornito una possibile risposta l’assai recente pronuncia n. 628 del 23 gennaio 2019 del Tribunale di Roma, con la quale si è provveduto ad offrire spunti interessanti in materia di condotte antisindacali.
Come è noto – in linea generale – si configura l’antisindacalità ogniqualvolta il datore di lavoro ponga in essere “comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e della attivitàsindacale” nonché del diritto di sciopero (L. 300/1970, art. 28). Come autorevolmente rilevato in dottrina, il Legislatore parrebbe aver volutamente adottato una formula aperta (senza tipizzare le fattispecie), con la finalità di ricomprendervi qualsiasi ostacolo al libero svolgimento della dialettica sindacale (cfr., a tal proposito, M. MARTONE, “Il procedimento di repressione della condotta antisindacale”). In questo senso, anche le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 5295 del 1997, hanno da tempo confermato che la definizione legislativa in oggetto “non è analitica ma teleologica, nel senso che la norma individua il comportamento illegittimo in base non a caratteristiche strutturali, bensì alla sua idoneità a ledere i beni protetti” (in senso conforme si segnala anche Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 9250 del 18 aprile 2007).
Orbene, nel caso di specie, il giudice romano era chiamato a pronunciarsi nell’ambito di un procedimento di opposizione a decreto ex art. 28, L. 300/1970, ossia in sede di impugnazione del provvedimento (motivato ed immediatamente esecutivo) con cui, accertata la sussistenza dell’effettiva antisindacalità di una condotta, l’Autorità giudiziaria “ordina al datore di lavoro… la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti”. Nello specifico, una società aveva deciso unilateralmente di applicare un nuovo contratto collettivo (con conseguente disdetta del contratto precedente in corso di validità ed efficacia), senza consultazione alcuna delle associazioni, bensì per mezzo di una mera comunicazione in tal senso ai lavoratori. Le oo.ss., prima di adire l’Autorità giudiziaria, avevano dunque posto (infruttuosamente) in essere una serie di azioni che consentissero di addivenire ad un nuovo accordo con il datore, tra cui alcune diffide, incontri e scioperi.
Investito della questione, il Tribunale di Roma ha preliminarmente rilevato, sulla scorta dei precedenti del giudice di legittimità, che la mera circostanza per la quale “il datore abbia disdettato un contratto collettivo”, ancorché senza la previa consultazione del sindacato stipulante, “non può essere ritenuta comportamento sanzionabile ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori” (cfr., a questo proposito, Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 7706 del 2004). Tuttavia, continua il giudice, la stessa condotta si presta ad assumere una veste diversa – e, quindi, antisindacale – se, “per le particolari circostanze del caso” concreto, essa non miri soltanto a far cessare nei propri confronti “una disciplina contrattuale dalla quale si ritiene – non rileva se fondatamente o no purché non del tutto pretestuosamente – di non dover essere più vincolati”, ma si connoti, altresì, come causa di oggettivo impedimento per il sindacato “di operare nel contesto aziendale con le iniziative volte a riaffermarvi il proprio ruolo di controparte contrattuale”(cfr., ancora, Cassazione, sentenza n. 7706/2004). E, quindi, nell’affermare l’effettiva antisindacalità della condotta datoriale nella controversia de quo, il giudice romano ha attribuito rilevanza, non tanto al fatto che fosse stata omessa qualsivoglia procedura di consultazione con le rappresentanze dei lavoratori firmatarie dell’accordo (ciò in assenza di specifici obblighi contrattuali al riguardo), ma, quanto più, in virtù della sopravvenuta inoperatività “dello strumento di garanzia, qual è il contratto collettivo vigente, del ruolo di controparte contrattuale delle oo.ss. firmatarie del contratto medesimo”. Peraltro, si è negato che la circostanza, per la quale le organizzazioni avessero comunque avuto modo di promuovere iniziative ai fini del ripristino del CCNL disdettato e la società avesse partecipato tramite i propri rappresentanti agli incontri con le stesse, fosse idonea a dimostrare il mantenimento del relativo ruolo di controparte contrattuale e, quindi, a conferire legittimità alla scelta datoriale. A ben vedere, si legge nella sentenza n. 628/2019, l’espletamento delle richiamate attività non era stato garantito dalla sussistenza di un accordo sindacale (in quanto disdettato), ma da una mera concessione del datore di lavoro, il quale, “ritenendosi ormai non più vincolato all’osservanza delle disposizioni contrattuali in materia di esercizio delle attività sindacali”, aveva discrezionalmente ritenuto opportuno non ostacolarne l’esercizio. Risulta, con ciò, del tutto evidente come detta discrezionalità non possa ritenersi confacente a soddisfare le garanzie ex L. 300/1970 (Statuto dei lavoratori).
A tali premesse, come anticipato, è conseguito il rigetto dell’opposizione presentata dalla società datrice e la dichiarazione della natura antisindacale della disdetta comunicata ai lavoratori.