Con la recente ordinanza n. 26850 la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta a chiarire nuovamente taluni presupposti per il riconoscimento del danno da perdita di chances.
Occorre preliminarmente rilevare come tale forma di danno sia stata introdotta all’interno dell’ordinamento italiano ad opera dell’elaborazione giurisprudenziale. In particolare, a partire dal 1999 (per mezzo della sentenza n. 500 delle Sezioni Unite), la Cassazione aveva iniziato a riconoscere la risarcibilità non soltanto alla lesione di diritti soggettivi, ma anche delle “legittime aspettative di natura patrimoniale, purché si tratti di legittime aspettative e non di aspettative semplici” (le c.d. chances). In altri termini, la perdita di chances si configura come una privazione attuale della possibilità di conseguire in futuro un determinato vantaggio economico. Merita di essere in proposito segnalato il dibattito dottrinale che vede contrapporsi, da un lato, coloro i quali ravvisino in tale perdita un danno emergente, ossia un’immediata sottrazione economica, dall’altro chi individua nella stessa un lucro cessante (mancato guadagno). Al netto di prese di posizione inerenti il sopra richiamato dubbio interpretativo, giova segnalare come una simile forma di danno si sia prestata, negli anni, a tutelare aree precedentemente non coperte dal sistema di responsabilità aquiliana. In particolare, la stessa ha trovato frequente applicazione nell’ambito della responsabilità civile del medico (la c.d. perdita di chances di sopravvivenza), nonché in materia di illegittima esclusione dei candidati a concorsi pubblici (cfr., a titolo meramente esemplificativo, Cassazione, sentenza n. 16993 del 2015 in tema di responsabilità medica, nonché Consiglio di Stato, sentenza n. 2452 del 2013 in materia di concorsi pubblici).
Nel caso di specie, una donna, in seguito ad un sinistro stradale, aveva riportato un’invalidità permanente del 25%. La stessa aveva convenuto in giudizio il conducente del veicolo (la donna era terzo trasportato), nonché la relativa società di assicurazioni, per vedersi riconoscere un risarcimento. Sia in primo grado che in appello il giudice aveva condannato le parti convenute a corrispondere alla donna un importo a titolo di danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, ma aveva escluso la configurazione nel caso in esame di un danno patrimoniale ovvero di un danno da perdita di chances. Invero, dalle sentenze emergeva da un lato come la danneggiata non svolgesse alcuna attività lavorativa produttiva di reddito al momento dell’incidente e dall’altro come non avesse dimostrato che, “pur non avendo potuto sostenere l’esame di Stato per l’iscrizione all’albo dei geometri”, avrebbe continuato ad essere impedita “dai postumi invalidanti permanenti ad intraprendere la carriera di geometra”.
Il giudice di legittimità ha affermato, in proposito, come nei precedenti gradi di giudizio fosse stato omesso il necessario accertamento presuntivo da condursi con riferimento al danno patrimoniale a titolo di chances perdute. Tale indagine, a dire della Corte, constava in una “complessa valutazione di tipo prognostico” e non poteva limitarsi a rilevare nell’assenza di un’attività lavorativa una totale esclusione di danni futuri. In particolare, a parere della Suprema Corte, negando il riconoscimento predetto, il giudice si sarebbe espresso limitatamente alla capacità lavorativa specifica della ricorrente, omettendo l’ulteriore esame della relativa capacità lavorativa generica, da liquidarsi in via equitativa ex art. 1226 c.c. (“se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”). Infatti, continua il Supremo Collegio, “nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue”il giudice di merito è ulteriormente chiamato a condurre il sopra richiamato accertamento “in ordine alla riduzione della perdita di guadagno nella sua proiezione futura” anche in termini di perdita di chance.
A tal proposito, occorre presumere la sussistenza del danno ogniqualvolta dagli elementi fattuali a disposizione dell’autorità giudiziaria emerga una “ragionevole probabilità” che la vittima dell’incidente possa in futuro percepire un reddito di entità inferiore rispetto a quanto avrebbe per converso “conseguito in assenza di infortunio” (tale assunto è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, si legga, in questo senso, Cassazione, sentenza n. 21497 del 2005, sentenza n. 17514 del 2011, sentenza n. 25634 del 2013, nonché sentenza n. 12211 del 2015), non venendo in rilievo, in alcun modo, in tale ultima ipotesi, il fatto che il danneggiato sia o meno disoccupato.