È costituzionalmente illegittima la disposizione dell’art. 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), nella parte in cui non prevede che sia esonerata dal giuramento richiesto per l’acquisizione della cittadinanza italiana per decreto, la persona incapace di soddisfare tale adempimento in ragione di grave e accertata condizione di disabilità. È quanto ha statuito la Corte Costituzionale con un’interessante pronuncia depositata il sette dicembre scorso (Corte Cost. n. 258/2017).

La Corte è stata investita della questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice tutelare del Tribunale di Modena, a seguito del ricorso proposto da un amministratore di sostegno, il quale aveva chiesto al medesimo giudice tutelare di autorizzare la trascrizione del decreto concessivo della cittadinanza a favore della figlia, nata in India, in assenza del giuramento prescritto dall’art. 10 della legge n. 91 del 1992. Ciò in quanto la figlia non era in grado di prestare tale atto, essendo affetta da epilessia e ritardo mentale grave. Come è noto, infatti, l’art. 9, comma 1, della l. n. 91 del 1992 disciplina l’acquisto della cittadinanza italiana per concessione del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato,su proposta del Ministro dell’interno, a favore dello straniero che risieda legalmente nel territorio della Repubblica da almeno dieci anni. L’art. 10 della medesima legge, tuttavia, subordina l’efficacia di tale decreto di concessione, alla prestazione da parte dell’interessato (entro sei mesi dalla notifica del decreto stesso) del giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato. Giuramento che va reso all’ufficiale dello stato civile, il quale, ai sensi dell’art. 25, comma 1 del d.P.R. n. 396 del 2000, non può trascrivere il decreto di concessione della cittadinanza, se prima non è stato prestato il prescritto giuramento.

Alla luce delle norme citate, l’adempimento dell’obbligo del giuramento risulta determinante ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana; e, quindi, l’acquisizione dello status di cittadino non sarebbe possibile nel caso in cui la persona non fosse in grado di prestare detto giuramento a causa di grave disabilità psichica.

Di qui il formarsi di due opposti convincimenti:

da un lato si osserva che la norma che prescrive, per lo straniero, la prestazione del giuramento, trova il suo fondamento nell’art. 54, primo comma, della Costituzione, che impone a tutti i cittadini il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi. Ne consegue che il giuramento ha un chiaro significato giuridico: rappresenta l’impegno morale e l’adesione consapevole e cosciente al rispetto dei doveri e all’esercizio dei diritti riconosciuti ai cittadini italiani e che trovano il loro fondamento nella Costituzione e nelle leggi. Se così è, stante la natura personalissima del giuramento, la cittadinanza italiana non potrebbe essere acquisita dal disabile mentale, impossibilitato a giurare e a comprendere l’impegno morale che con tale atto assume di fronte alla collettività. La natura personalissima dell’atto del giurare, infatti, esclude che lo stesso possa essere reso da un rappresentante legale in sostituzione dell’interessato.

D’altra parte,si prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 della legge n. 91 del 1992, nella parte in cui tale norma non contempla deroghe all’obbligo della prestazione del giuramento, quale condizione per l’acquisizione della cittadinanza italiana, a favore di soggetto infermo di mente, impossibilitato a compiere tale atto formale. Tale ultima prospettazione è stata avallata dalla Corte Costituzionale con la sentenza in commento, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma, per contrasto con norme di carattere costituzionale e di legislazione sovranazionale.

Giova premettere che l’approdo a cui è pervenuta la Corte Costituzionale è stato preceduto da atti amministrativi e da pronunce giurisdizionali che hanno tentato di dirimere la questione giuridica. Nello specifico, ci si riferisce al parere del Consiglio di Stato n. 261/85 del 13 marzo 1987, che ha esaminato il caso di un interdetto, giungendo a reputare irrilevante il difetto di giuramento di fedeltà alla Repubblicae affermando la trascrivibilità del provvedimento di concessione della cittadinanza ancorché il giuramento non sia stato da lui prestato. Successivamente, prendendo le mosse dal citato parere del Consiglio di Stato, il Giudice Tutelare di Bologna, con decreto del 9 gennaio 2009, ha esonerato dal giuramento di fedeltà alla Repubblica una disabile psichica beneficiaria di amministrazione di sostegno, in condizioni di abituale infermità mentale, alla pari di un interdetto o di un abilitato.

Di analogo tenore è il decreto del Giudice Tutelare di Mantova del 2 dicembre 2010 relativo a un interdetto privo della capacità di favella, oggettivamente non in grado di prestare consapevolmente il prescritto giuramento né di leggere in modo autonomo la formula di giuramento. In questo contesto giurisprudenzialesi inserisce la sentenza della Corte Costituzionale n. 258 del 7 dicembre 2017, che ha in primo luogo ravvisato il contrasto tra l’art.10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91e l’art. 2 Cost., che tutela i diritti inviolabili dell’uomo. Diritti tra cui non può non rientrarequello del disabile psichico di acquisire lo status di cittadino. Altresì la Corte Costituzionale ha dichiarato il contrasto della citata norma con l’art. 3 co. 1 Cost., che vieta qualsiasi discriminazione basata sulle “condizioni personali”.Norma che, pur riferendosi espressamente ai soli cittadini, vale anche per lo straniero, quando si tratti di rispettare diritti fondamentali (Corte Cost. n. 120/1967). Conseguentemente, l’art. 10 della legge n. 91 del 1992 contrasta con l’art. 3 co. 1 Cost., poiché crea una disparità di trattamento tra cittadini sani e normali: i primi in grado di prestare giuramento, e gli altri che, in quanto affetti da disabilità, per effetto della mancata prestazione del giuramento, non possono acquisire lo status di cittadini.

E, ancora, l’art. 3 comma 2 della Cost., sancisce il principio di eguaglianza sostanziale, che si concreta nella rimozione ad opera della Repubblica degli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini. Se così è, l’impossibilità di prestare il prescritto giuramento ai fini dell’acquisto della cittadinanza, determinata dalla condizione della persona affetta da malattia mentale, altro non è che un significativo “ostacolo” all’esplicazione della personalità dell’individuo, come tale contrastante con il principio di eguaglianza sostanziale ex art. 3, comma 2, Cost. D’altronde la condizione dei disabili è presa in considerazione dall’art. 38 Cost. che riconosce il diritto di ogni cittadino inabile al lavoro al mantenimento e all’assistenza sociale, nonché il diritto degli inabili e minorati all’educazione e all’avviamento professionale.

Dal punto di vista della legislazione nazionale, poi, viene in rilievo la l. n. 104 del 1992 (legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), che al comma primo sancisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata.  La Corte Costituzionale, con la sentenza in commento, ha altresì ritenuto assorbite le censure prospettate dal giudice a quo in relazione a disposizioni di carattere sovranazionale e internazionale. Nello specifico si tratta dell’art. 18 della Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone disabili,ratificata e resa esecutiva con la legge 3 marzo 2009, n. 18, che dispone che i disabili non possono essere privati della cittadinanza arbitrariamente o a causa della loro disabilità; nonché gli artt. 21 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, che esigono il riconoscimento della cittadinanza anche ai cittadini disabili di paesi terzi.

La Corte Costituzionale è così pervenuta alla conclusione secondo cui l’inserimento nella società del portatore di disabilità“ .. ove siano soddisfatte le altre condizioni previste dalla legge che regola l’acquisizione della cittadinanza, è evidentemente impedito dall’imposizione normativa del giuramento alla persona che, in ragione di patologie psichiche di particolare gravità, sia incapace di prestarlo. La necessità di esso, e la mancata acquisizione della cittadinanza che, in sua assenza, ne consegue, può determinare una forma di emarginazione sociale che irragionevolmente esclude il portatore di gravi disabilità dal godimento della cittadinanza … Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata, nella parte in cui non esonera dal giuramento il disabile incapace di soddisfare tale adempimento in ragione di una grave e accertata condizione di disabilità.L’esonero dal giuramento deve operare a prescindere dal “tipo” di incapacità giuridicamente rilevante. Ciò che rileva è l’impossibilità materiale di compiere l’atto in ragione di una grave patologia, non rilevando la precipua condizione giuridica in cui versa il disabile..”.

Si può dunque concludere nel senso che la sentenza della Corte Costituzionale n. 258 del 7 dicembre 2017 costituisce la risposta del nostro ordinamento al contrasto del tessuto normativo, costituito dalle disposizioni che non esonerano il disabile, che  ne sia  impossibilitato  per  effetto  della   patologia   mentale   che l’affligge, dal prestare giuramento quale presupposto  per  l’acquisto della cittadinanza, rispetto alle norme costituzionali e sovranazionali incentrate sulla tutela della persona in quanto tale. La soluzione cui è prevenuta la Corte Costituzionale fa salva, pertanto, la legittima aspettativa dello straniero disabile a vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana, in presenza dei requisiti oggettivi fissati dalla legge, evitando il rischio di  lasciare lo straniero isolato da quella trama di relazioni di cui, ai fini dello status di cittadino, costituisce il principale centro di imputazioni di interessi.