Con un’interessante sentenza (n. 2648 del 2017) il Tribunale di Milano si è pronunciato con riferimento al contratto di franchising, chiarendo, in particolare, i limiti che possano porsi all’affiliante nell’esercizio di attività concorrenziale.

Preliminarmente giova osservare come la fattispecie contrattuale in oggetto, anche denominata “affiliazione commerciale”, consti in una collaborazione tra due imprenditorigiuridicamente ed economicamente indipendenti, per la commercializzazione di beni o servizi e parrebbe potersi considerare ascrivibile alla categoria dei contratti di distribuzione. In particolare, a norma dell’art. 1 della Legge 6 maggio 2004, n. 129 (cui si deve la tipizzazione di tale figura), una parte (il c.d. “franchisor” o “affiliante”) “concede la disponibilità” all’altra (il c.d. “franchisee” o “affiliato”), verso corrispettivo, “di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale” e inserisce, altresì, la stessa “in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio” allo scopo, come detto, di commercializzare determinati beni. Nel periodo antecedente la relativa tipizzazione, la dottrina giuridica aveva individuato in una simile fattispecie i caratteri di un contratto “misto”, in virtù della presenza, da un lato, dei tratti tipici della somministrazione di beni/servizi e, dall’altro, della licenza di marchio e insegna.

Occorre rilevare, ai fini del corretto inquadramento della pronuncia in commento, come tra le facoltà riconosciute dal predetto intervento legislativo alle parti rientri la possibilità di prevedere espressamente il godimento di un’esclusiva territoriale, in favore dell’affiliato, “sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante” (art. 3, comma 4 della L. 129/2004), determinandone a livello contrattuale l’ambito geografico di operatività.

Orbene, nel caso di specie, tra franchisor e franchisee non era intervenuta alcuna pattuizione inerente diritti di esclusiva, cosicché il primo aveva ritenuto di potere legittimamente dare avvio all’attività di unulteriore punto vendita, per mezzo di un analogo contratto di franchising con altro affiliato, in prossimità dell’esercizio (alcune decine di metri) commerciale del franchisee. Investito della questione, il giudice era chiamato a valutare la sussistenza di eventuali limiti che, al netto di una specifica clausola di esclusiva, potessero porsi in relazione all’attività concorrenziale di ulteriori affiliati.

Invero, il Tribunale ha, in primo luogo, negato che il franchisor possa ritenersi titolare di un potere di arbitrionello “stabilire una strategia di ubicazione dei punti vendita”, ove tale scelta sia idonea a compromettere la sfera dell’affiliato. Dalla lettura della L. 129/2004 parrebbe infatti configurarsi, a dire del giudice di merito, un interesse qualificato dello stesso all’ubicazione degli altri affiliati, indipendentemente dall’espressa pattuizione sull’esclusiva tra le parti. Tale conclusione sarebbe desumibile, in particolare, dal tenore della lettera d) dell’art. 4, in forza della quale è prescritto all’affiliante di fornire all’altra parte “una lista degli affiliati al momento operanti nel sistema dei punti di vendita”, nonché dalla lettera e) che impone parimenti di indicare la “variazione anno per anno del numero degli affiliati con relativa ubicazione negli ultimi tre anni”. Dalle disposizioni sopra richiamate emergerebbe, all’avviso dell’organo giudicante, una certa rilevanza per l’affiliato “dello sviluppo territoriale della rete distributiva”, cosicché, pur non rappresentando l’esclusiva di zona un elemento necessario del contratto, non può negarsi che la causa del rapporto obbligatorio sia individuabile nella comunità di scopo e, quindi, nella“migliore riuscita dell’attività commerciale di entrambi”.  Costituisce, in tal senso, “buona prassi” del franchisor quella di analizzare attentamente la rete di distribuzione, evitando, ove possibile, la presenza di punti vendita “troppo vicini che si facciano concorrenza da sé”.

Ciò premesso, pur escludendo, in caso di apertura di un punto vendita limitrofo ad altro già esistente, che possa trattarsi di inadempimento da parte dell’affiliante per diretto contrasto con il contratto, il Tribunale ha riscontrato in una simile scelta un inadempimento dell’obbligo di buona fede ex art. 1175 c.c. gravante sulle parti nell’esecuzione contrattuale. Il corretto adempimento del predetto dovere in capo ai contraenti di per sé comporta, a dire del collegio, un divieto di fare “concorrenza al proprio affiliato”. Nella controversia in oggetto, per di più, l’affiliazione commerciale riguardava negozi monomarca, con ciò escludendosi la possibilità per l’affiliato di ampliare la propria offerta.

A tale impianto argomentativo è seguito l’accoglimento della domanda del franchisee di risoluzione del contratto, oltre al riconoscimento di un risarcimento per danno all’immagine patito dallo stesso.