L’esercizio della facoltà di formulare una contestazione disciplinare, secondo le disposizioni dettate dall’art. 7, commi 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori e dei dettati contrattuali, è sottoposto a regole precise e predeterminate il cui rispetto è elemento essenziale, come noto, ai fini della validità della procedura adottata e, quindi, ai fini della legittimità della sanzione adottata all’esito della stessa.

Nella fase di formazione del provvedimento, riveste un particolare rilievo la formulazione della mancanza disciplinare: la contestazione deve essere precisa, puntuale ed immodificabile, al fine di permettere al lavoratore di esercitare efficacemente il diritto a difesa, la garanzia del diritto alla difesa costituisce un punto fondamentale dell’art. 7, Statuto Lavoratori.

La giurisprudenza è da tempo unanime nel ritenere che le garanzie dettate dall’art. 7, commi 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori, non subiscono deroghe anche nel caso in cui soggetto passivo del potere disciplinare del datore di lavoro sia un dirigente e ciò a prescindere dal ruolo di cui lo stesso è stato investito all’interno dell’organizzazione aziendale. Infatti, il tratto caratterizzante delle disposizioni sopra citate è assicurare ad ogni lavoratore, nel momento in cui gli si addebitano condotte illegittime e/o non conformi alle norme che regolano l’esecuzione delle prestazioni nel rapporto di lavoro, il diritto di difesa. Tale orientamento è stato cristallizzato dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 7880/2007: “una interpretazione del dato normativo costituzionalmente orientata, che voglia rispondere anche a criteri logico – sistematici, induca a condividere la tesi favorevole ad estendere a tutti coloro che rivestono la qualifica di dirigenti in ragione della rilevanza dei compiti assegnati dal datore di lavoro – e quindi senza distinzione alcuna tra dirigenti top manager ed altri ( c.d. dirigenti “medi” o “minori”) appartenenti alla stessa categoria – l’iter della L. n. 300/1970, art.7”. La Suprema Corte, con la citata sentenza, precisava, altresì, che, in virtù di quanto previsto dalla contrattazione collettiva, dalla violazione delle garanzie procedimentali di cui sopra non si sarebbero potute applicare ai dirigenti le tutele di cui alla L. n. 604/66 e L. n. 300/70, ma solamente le previsioni fissate dalla contrattazione di categoria per il licenziamento privo di giustificatezza.

La Suprema Corte di Cassazione ha dato seguito, quindi, al precitato orientamento con svariate pronunce, ribadendo il principio di diritto di seguito riportato: “In materia di rapporto di lavoro dirigenziale, ferma l’insussistenza  di una piena coincidenza tra le ragioni di licenziamento di un dirigente e di un licenziamento disciplinare, per la peculiare posizione del predetto e il relativo vincolo fiduciario, le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7, 2 e 3comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, in quanto espressione di un principio di generale garanzia fondamentale, a tutela di tutte le ipotesi  di licenziamento disciplinare, trovano applicazione anche nell’ipotesi di licenziamento del dirigente, a prescindere dalla sua collocazione nell’impresa qualora il datore di lavoro gli addebiti un comportamento negligente, o colpevole in senso lato, ovvero se, a base del recesso, siano poste condotte comunque suscettibili di pregiudicare il rapporto di fiducia tra le parti, sicchè la loro violazione preclude la possibilità di valutare le condotte causative del recesso” (Cassaz. 20 giugno 2017, n. 15204; in senso conforme: Cassaz. n. 255372015; Cassaz. n. 5962/2013; Cassaz. n. 897/2011).

Sempre sulla scia dell’orientamento sopra menzionato la Suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza del 12 maggio 2017 n. 11895 ha giudicato che: “Non può, infatti, sottacersi che, secondo l’orientamento espresso da questa Corte, cui si intende dare continuità , il datore di lavoro che intenda adottare una sanzione disciplinare nei confronti del dipendente non può omettere l’audizione del lavoratore incolpato il quale, ancorchè abbia inviato una compiuta difesa scritta, ne abbia fatto espressa richiesta (vedi Cass. 26710/2010 n. 2189) allorquando tale volontà sia comunicata in termini univoci”.

La Suprema Corte ha ribadito che questa specifica garanzia, la previa audizione a difesa, costituisce sempre un indefettibile presupposto procedurale, una volta che il lavoratore abbia formulato espressa richiesta al riguardo e ciò anche nel caso in cui il lavoratore, contestualmente alla audizione a difesa, abbia comunicato al datore di lavoro giustificazioni scritte. Continua la Suprema Corte, evidenziando che le giustificazioni scritte che si accompagnino alla richiesta di audizione orale altro significato non avrebbero se non il fatto che il lavoratore evidentemente, esplicitando la richiesta di integrazione delle proprie difese scritte, ritiene le stesse non esaustive e complete “e destinate ad integrarsi con le giustificazioni che il lavoratore stesso eventualmente aggiunga o precisi in sede di audizione” .

Con la sentenza citata, pertanto, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito il seguente principio di diritto: “il datore di lavoro, il quale intenda adottare una sanzione disciplinare, non può omettere l’audizione del lavoratore incolpato ove quest’ultimo – così come nella fattispecie, ne abbia fatto richiesta espressa contestualmente alla comunicazione, nel termine di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 comma 5, di giustificazioni scritte, anche se queste siano ampie e potenzialmente esaustive(di in motivazione, Cass. 22/3/2010 n. 6845).

Pertanto, il datore di lavoro non può, in virtù dell’enunciato principio, omettere di ascoltare il lavoratore in audizione orale qualora ciò venga richiesto, ed indipendentemente dall’esaustività delle giustificazioni già presentate in forma scritta. Tale condizione varrà, in virtù di quanto sopra esposto per tutti i lavoratori, compresi coloro i quali svolgano funzioni dirigenziali.

La citata sentenza ha modificato e chiarito il precedente orientamento della Suprema Corte che si era più volte pronunciata, invece,  nel senso dell’impossibilità per il datore di lavoro di negare l’incontro richiesto dal lavoratore al fine di rendere le proprie giustificazioni orali solo qualora lo stesso fosse giustificato da obiettive esigenze di difesa non altrimenti tutelabili, prevedendo, inoltre che in talune ipotesi particolari ci potessero essere delle esenzioni e quindi, che la richiesta stessa poteva non essere accolta se dettata da fini meramente dilatori o formulata in modo equivoco, generico o immotivato ovvero qualora fosse emerso che, in base alla condotta tenuta dal lavoratore, la sua difesa fosse stata  esercitata compiutamente attraverso giustificazioni scritte non suscettibili, per la loro compiutezza, di essere completate o solo convalidate da nuove e significative circostanze.