Con la legge n. 96/2017, di conversione del D.L. n. 50/2017, il legislatore è nuovamente intervenuto a regolare, tra gli altri, l’ambito degli istituti a sostegno del reddito, i c.d. “ammortizzatori sociali”, dopo che il decreto legislativo n. 148/2015 ne aveva tratteggiato una disciplina pressoché organica. Giova, a tal proposito, richiamare sinteticamente le principali novità che lo stesso aveva introdotto. Da un lato, aveva sancito una netta distinzione tra gli ammortizzatori in costanza di rapporto di lavoro e gli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria, oltre a rivederne le limitazioni temporali, dall’altro, con riferimento ai fondi di solidarietà, aveva teso ad ampliare il campo di applicazione degli stessi alle piccole e medie imprese; l’obbligatorietà della copertura finiva, così, per riguardare anche i datori di lavoro che occupassero più di cinque dipendenti.
Il prepensionamento per i giornalisti
Le misure relative al prepensionamento, presenti nella L. 96/2017, si inseriscono in un quadro di revisione generale degli ammortizzatori sociali che, con riferimento all’ambito dell’editoria, aveva permesso di registrare una tendenziale assimilazione di disciplina con la generalità dei comparti industriali già con il decreto legislativo del 15 maggio 2017, n. 69 recante “Disposizioni per l’incremento dei requisiti e la ridefinizione dei criteri per l’accesso ai trattamenti di pensione di vecchiaia anticipata dei giornalisti e per il riconoscimento degli stati di crisi delle imprese editrici”. Il decreto aveva riscontrato il tendenziale favore dell’INPGI, alla luce dell’innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi, ma era parso allo stesso ente insufficiente per la “mancata individuazione di misure di rilancio industriale”.
Tenuto conto dell’estensione alle imprese editrici del regime ordinario, ad esempio in tema di integrazione salariale straordinaria, operata dal già richiamato D.lgs n. 69/2017 (che decorrerà a partire dal 1 gennaio 2018) con la previsione ex art. 53-bis della L. 96/2017 è stata, in particolare, autorizzata la copertura economica per la liquidazione anticipata della pensione di vecchiaia ai giornalisti che risultino dipendenti di aziende editoriali coinvolte in piani di ristrutturazione o riorganizzazione ex art. 1 della L. n. 232/2016. In particolare, la disposizione ha provveduto allo stanziamento di una somma pari a 6 milioni di euro per la copertura dell’anno 2017, 10 milioni di euro per il 2018, 11 milioni di euro per il 2019, 12 milioni di euro per il 2020 e 6 milioni per il 2021.
Tra i requisiti previsti per l’accesso alla misura, figura l’elemento della diffusione nazionale, con riferimento a imprese editrici di giornali, quotidiani, periodici e agenzie di stampa, mentre, riguardo al giornalista beneficiario, rileva la dipendenza dello stesso dall’impresa da almeno 90 giorni rispetto alla presentazione della domanda. Non paiono desumersi limiti inerenti la qualifica del dipendente, rientrando nel campo di applicazione dell’intervento sia giornalisti pubblicisti che praticanti, oltre, inevitabilmente, ai giornalisti professionisti.
Il legislatore si preoccupa, poi, di prorogare e chiarire i termini per la presentazione delle istanze di anticipazione. A tal riguardo, a coloro i quali siano già stati coinvolti nei piani di gestione degli esuberi, con conseguente riduzione oraria, prima della legge in questione, è data facoltà di “optare per l’anticipata liquidazione della pensione di vecchiaia entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore”, in caso contrario, se il coinvolgimento nella riduzione oraria risultasse successivo, i sessanta giorni inizierebbero a decorrere “dalla data del coinvolgimento o dalla data di maturazione dei requisiti di anzianità anagrafica e contributiva”. Tali requisiti constano nel raggiungimento di un’anzianità contributiva pari ad almeno 25 anni (“interamente accreditati presso l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani”) e di un’età anagrafica di almeno 58 anni, con riferimento al sesso femminile e di 60 anni per il sesso maschile, limitatamente agli anni 2017 e 2018.
Vengono, inoltre, prescritte determinate regole procedimentali riservate all’INPGI, alle quali lo stesso sarà chiamato ad attenersi nella fase di trattazione e liquidazione delle domande di anticipazione pensionistica. In particolare, l’ente è tenuto a valutare le istanze “secondo l’ordine cronologico di presentazione dei piani di gestione degli esuberi” e a rispettare i limiti di spesa precedentemente richiamati. Lo stesso art. 53-bis, ai fini della copertura finanziaria della misura, specifica che ad essa “concorre il contributo aggiuntivo a carico dei datori di lavoro” previsto dall’art. 41-bis del D.L. 30 dicembre 2008, n. 207 e la cui determinazione dell’ammontare spetta al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, “su proposta delle organizzazioni sindacali datoriali”.
Rimangono, infine, invariati i vincoli derivanti dall’art. 1-bis del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, i quali prescrivono un divieto, rivolto ai giornalisti che accedano al prepensionamento, di mantenere rapporti collaborativi con l’impresa editoriale con la quale abbiano cessato il rapporto lavorativo e l’obbligo per la stessa impresa di addivenire all’assunzione di nuove figure lavorative, in rapporto di un assunto ogni tre prepensionamenti.
Le aree di crisi industriale complessa
Il secondo ordine di accorgimenti che il legislatore ha inteso rendere prioritario nella disciplina degli ammortizzatori sociali riguarda la tutela dei lavoratori occupati nella c.d. “aree di crisi industriale complessa” che, ai sensi dell’art. 27 del D.L. 83/2012, comprendono “specifici territori soggetti a recessione economica e perdita occupazionale di rilevanza nazionale” la quale derivi dalla crisi di un’impresa di dimensioni medie o grandi “con effetti sull’indotto” e/o dalla “grave” crisi di uno specifico settore industriale altamente specializzato in quella determinata area geografica. Occorre, a tal proposito, richiamare l’elencazione che rispetto a tali ambiti territoriali è desumibile da più di un provvedimento: Rieti (D.M. 13/4/2011), Taranto (D.L. 129/2012), Piombino e Trieste (D.L. 43/2013), Termini Imerese (A.d.P. 22/7/2015), Gela (D.M. 20/5/2015), Isernia, Boiano, Campochiaro e Venafro (D.M. 7/8/2015), Livorno (D.M. 7/8/2015), Val Vibrata-Valle del Tronto Piceno (D.M. 10/2/2016), Frosinone (D.M. 12/9/2016), Portovesme (D.M. 13/9/2016), Savona (D.M. 21/9/2016), Porto Torres (D.M. 7/10/2016) e Terni-Narni (D.M. 7/10/2016).
La disposizione di cui all’art. 53-ter della L. 96/2017 prevede un’attribuzione in capo alle Regioni, della facoltà di destinare una componente delle risorse finanziarie che ad esse siano assegnate, a titolo di ammortizzatori in deroga, e che non siano state preventivamente utilizzate alla prosecuzione del trattamento di mobilità in deroga per i dipendenti operanti in tali aree. La prosecuzione della misura in capo ai lavoratori resta, peraltro, soggetta al limite di ulteriori 12 mesi di trattamento, se già “in godimento” alla data del 1 gennaio 2017. Si tratta di una previsione atta a garantire l’effettività e la continuità della tutela nei confronti di simili situazioni emergenziali, senza oneri per lo Stato, ma esclusivamente mediante una riorganizzazione delle risorse già in possesso delle Regioni.
Risulta utile sottolineare come, rispetto ai criteri stabiliti dal decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 83473 del 1 agosto 2014 (comprendenti, tra gli altri, oneri informativi piuttosto gravosi nei riguardi dell’INPS), l’eventuale destinazione di tali risorse rappresenti una deroga, potendo la Regione, per espresso riferimento dell’art. 53-bis, discostarsene.
Il legislatore, in termini piuttosto generici, prescrive l’accompagnamento del trattamento alla predisposizione, da parte degli organi regionali, di un piano finalizzato alla realizzazione di misure di politica attiva, “da comunicare all’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro e al Ministero del lavoro e delle politiche sciali”, senza fornire alcuna indicazione riguardante i termini di comunicazione. A tal proposito, giova rilevare come, con la Circolare n. 13 del 27 giugno 2017, la Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali sia intervenuta a fornire idonee indicazioni alle Regioni, sulla base delle quali provvedere a garantire la prosecuzione della mobilità in deroga. In particolare, ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione, il piano prefigurato dall’art. 53-ter della L. 96/2017, con l’ulteriore indicazione “dell’elenco nominativo e codice fiscale dei lavoratori interessati, la data di cessazione del precedente trattamento di mobilità ordinaria o in deroga, la durata del trattamento in prosecuzione e il costo dello stesso”, necessita di essere indirizzato alla Direzione Generale stessa, la cui valutazione successiva risulta circoscritta alla mera sostenibilità finanziaria.
Con l’emanazione della circolare n. 159 del 31 ottobre 2017, poi, l.’INPS ha provveduto, oltre ad offrire ulteriori istruzioni con riferimento alle modalità di pagamento, alla contabilità e al regime fiscale, a specificare gli specifici importi da destinare ai lavoratori coperti dalla misura. In particolare, va segnalato come per l’anno in corso l’importo medio mensile delle prestazioni di mobilità in deroga “è pari ad euro 1.629,00, comprensivo di copertura figurativa e ANF”.
Trattamenti di integrazione salariale in deroga
Da ultimo, si registra un intervento legislativo volto a colmare un vuoto normativo, con riferimento alle tempistiche e alle decadenze inerenti i conguagli e le richieste di rimborso nei riguardi dell’INPS per i trattamenti di integrazione salariale in deroga. Risultava, infatti assente una disciplina analoga all’art. 7 del D.lgs 148/2015 che, riguardo ai trattamenti di integrazione salariale ordinaria e straordinaria, ne regolava le modalità di erogazione e i termini per il rimborso.
Con la previsione dell’art. 55-quater della L. 96/2017 il legislatore pare essersi limitato ad un mero recepimento della disciplina prevista per i trattamenti sopra richiamati, effettuando una vera e propria equiparazione. Ai sensi della disposizione, “per i trattamenti di integrazione salariale in deroga, il conguaglio o la richiesta di rimborso delle integrazioni corrisposte ai lavoratori devono essere effettuati, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione o dalla data del provvedimento di concessione se successivo” eccezion fatta per i trattamente conclusi prima dell’entrata in vigore della legge in questione, per i quali il termine decorre “da tale data”. Un simile intervento appare animato dall’intento di addivenire ad una delimitazione temporale che scongiuri il rischio di un protrarsi delle richieste nel tempo, in virtù dell’altrimenti applicabile prescrizione decennale.