Sono trascorsi più di dodici anni dall’entrata in vigore del Decreto legislativo n. 77/2005, in attuazione della legge 28 marzo 2003, n. 53, per mezzo del quale il legislatore ha inteso introdurre, all’interno del sistema di istruzione e formazione italiano, la metodologia didattica innovativa dell’alternanza scuola-lavoro. Il tema appare oggi quanto mai d’attualità se si ha riguardo di considerare come, in seguito ai recenti interventi normativi, si registri un significativo ampliamento dell’ambito di applicazione dello strumento, nonché l’emersione di aspetti problematici inerenti da un lato il profilo giuslavoristico e dall’altro quello prettamente formativo.

Modello dell’alternanza

Il modello dell’alternanza, in particolare, è stato individuato come un percorso idoneo ad innovare il concetto di apprendimento, per come tradizionalmente concepito nel sistema scolastico italiano, attribuendo pari dignità, nella delicata fase di formazione, agli aspetti teorici apprensibili con la frequenza alle attività didattiche degli istituti e alla concreta esperienza di lavoro. In questo senso, tale strumento parrebbe in astratto contribuire alla risoluzione di un problema concreto riscontrabile nel mercato del lavoro attuale, ossia il notevole disallineamento tra l’offerta formativa ed educativa della scuola italiana e la richiesta di professionalità specifiche da parte delle imprese, contribuendo altresì alla diffusione di una vera e propria cultura del lavoro tra gli studenti delle scuole secondarie superiori.

Una simile esperienza si presta ad assumere tratti differenti ed ulteriori rispetto al tradizionale percorso di stage. Pur condividendo con lo stesso una concezione dell’azienda come luogo di apprendimento complementare rispetto ad un’aula di lezione, la formazione caratterizzante l’alternanza scuola-lavoro dovrebbe godere, nelle originarie intenzioni dei proponenti, di una portata decisamente più ampia e caratterizzata da continuità temporale, garantendo una maggiore sinergia con l’istituzione scolastica di riferimento.
Allo stesso tempo, può escludersi la sussistenza di un’analogia con la figura dell’apprendistato (che, ai sensi dell’art. 41, comma 1, D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 51, c.d. Jobs Act, può definirsi come “un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani”), in ragione dell’assenza di un vero e proprio rapporto di lavoro contrattualizzato e della natura in ogni caso formativa dell’attività.

Occorre, a tal proposito, tratteggiare un quadro organico dell’assetto normativo di riferimento, al fine di mettere in evidenza le principali problematiche connesse al corretto utilizzo dell’alternanza, nonché una valutazione circa l’opportunità della scelta di optare per la relativa obbligatorietà, operata dal legislatore nel 2015 (con l’approvazione della legge 13 luglio 2015, n. 107, c.d. Buona Scuola) e la cui concreta realizzazione risulta agevolata per mezzo della stipula dell’assai recente Protocollo d’Intesa tra il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e l’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro (Anpal) datato 12 ottobre 2017.

Gli obiettivi del D.Lgs n. 77/2005

All’atto della sua introduzione all’interno dell’ordinamento scolastico, la disciplina dell’alternanza scuola-lavoro ha primariamente tentato di garantire, pur rimanendo nell’ambito della facoltatività, la possibilità per gli studenti compresi tra i 15 e i 18 anni di acquisire competenze spendibili nel mondo del lavoro. Il legislatore, con la Legge 28 marzo 2003, n. 53 e con il successivo Decreto Legislativo n. 77 del 2005, ha, peraltro, avuto l’occasione di specificarne le principali finalità così riassumibili:

  • maggior flessibilità nell’apprendimento;
  • valorizzazione “delle vocazioni personali, degli interessi e degli stili di apprendimento individuali” (art. 2, D.Lgs. 77/2005);
  • arricchimento della qualità formativa per mezzo della sperimentazione di metodologie didattiche basate sia sul sapere che sul saper fare.

E’ alla luce di tali obiettivi che può leggersi la ricerca di integrazione tra le istituzioni scolastiche e le realtà del tessuto socio-produttivo del territorio,  che lo stesso decreto individua tra “le imprese, le rispettive associazioni di rappresentanza e le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura”. L’instaurazione di tale rapporto è subordinata alla stipula di un’apposita convenzione tra l’istituto, ovvero una rete di istituti, e le realtà sopra citate, rigorosamente a titolo gratuito (art. 3).

A norma dei DPR 15 marzo 2010, n. 87, 88, 89 recanti “Regolamenti sul Riordino dei diversi istituti secondari di II grado”, poi, si assiste ad una valorizzazione dei percorsi d’alternanza e alla previsione di prescrizioni programmatiche atte ad introdurli sistematicamente all’interno della didattica curriculare, nonché a declinarli a seconda dei differenti indirizzi di studio dell’istituzione scolastica.

L’obbligatorietà del percorso: la L. 107/2015

Con l’approvazione della Legge 13 luglio 2015, n. 107 recante ”Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti” (c.d. Buona Scuola) si è registrato un significativo rafforzamento del progetto, con l’introduzione di un regime di obbligatorietà, finalizzato ad “incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti” (art. 1, comma 33). A tal proposito, è prescritta l’introduzione di un percorso di alternanza obbligatoria della durata di 400 ore complessive, con riferimento agli istituti tecnici e professionali, che abbiano luogo nel secondo biennio e nell’ultimo anno di studio. Per ciò che concerne i licei, il progetto si esaurisce in 200 ore totali nel corso del triennio e, da questo punto di vista, la scelta legislativa di riservare l’applicazione dello strumento anche a tale tipologia di scuola secondaria rappresenta un’assoluta novità in ambito europeo. Si consideri, a tal proposito, come persino la Germania, che può ritenersi particolarmente all’avanguardia nella strutturazione di attività integrative rispetto all’ordinaria esperienza di apprendimento, abbia optato per l’introduzione di un sistema analogo limitatamente alle scuole professionali ed istituti tecnici. L’intenzione del legislatore italiano, caratterizzante la scelta dell’estensione al triennio del liceo, parrebbe, sotto questo profilo, ricondursi ad un programmatico superamento, anche culturale, di una netta separazione tra percorsi di studio puramente teorici e conoscitivi ed altri prettamente finalizzati all’acquisizione di abilità pratiche.

La legge in questione amplia, per di più, la platea dei soggetti presso i quali collaborare, seppur in seguito ad apposita convenzione, durante il periodo dell’ASL, finendo per ricomprendere ex art. 1 comma 34, oltre alle già citate realtà produttive:

  • gli ordini professionali;
  • i musei;
  • gli altri istituti pubblici e privati operanti nei settori del patrimonio e delle attività culturali, artistiche e musicali;
  • gli enti che svolgano attività inerenti il patrimonio ambientale;
  • gli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI;
  • gli uffici centrali e periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

L’esperienza non prevede alcun costo da sostenere per la struttura ospitante e, su richiesta dello studente, può svolgersi in un ente ovvero in un’impresa al di fuori dei confini nazionali.

Al fine di una razionalizzazione delle convenzioni, il comma 41 istituisce un apposito registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro presso le camere di commercio e con il coinvolgimento dei ministeri dell’Istruzione, del Lavoro e dello Sviluppo Economico, contenente l’elenco dei soggetti pubblici e privati che si siano dichiarati disponibili ad accogliere gli studenti ed abbiano provveduto alla stipula di accordi (corredati da uno specifico progetto formativo) con i dirigenti scolastici. Questi ultimi sono, a loro volta, chiamati alla redazione di una scheda di valutazione ad hoc contenente “le specificità del loro potenziale formativo” nonché “le eventuali difficoltà incontrate nella collaborazione” (comma 40).

L’impresa formativa simulata

Tra le possibili modalità di realizzazione dell’ASL, un ruolo centrale riveste la c.d. impresa formativa simulata, prevista dalla guida operativa offerta dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e consistente in un’attività di mercato svolta dagli studenti  per mezzo della costituzione di un’impresa virtuale che emuli il ciclo di vita aziendale di un’entità realmente operante sul territorio. In particolare, coloro che siano coinvolti nel progetto possono godere della possibilità di apprendere le principali nozioni di gestione simulando pratiche di stampo imprenditoriale che contemplino, tra i vari aspetti, il perfezionarsi di transazioni, nel rispetto della normativa, con altre imprese a loro volta virtuali.

I numeri dell’alternanza

Dall’entrata in vigore della L. 107/2015 la platea degli aderenti al progetto ha goduto di una progressiva estensione. Al riguardo, può notarsi come al termine del primo anno di obbligatorietà si sia registrata la sottoscrizione di circa 60 protocolli con le associazioni di categoria a livello nazionale, nonché di più di 70 su scala regionale. Tra gli altri, merita di essere segnalato il Protocollo d’intesa con Confindustria, cui dovrebbe conseguire un incremento del numero di aziende disponibili all’accoglienza e il Protocollo d’intesa con Confartigianato dello stesso tenore.

La prima fase di monitoraggio quantitativo, operata dal MIUR, si presta, peraltro, ad offrire indicazioni rilevanti con riferimento alle cifre degli studenti e degli istituti coinvolti in seguito ad un anno di obbligatorietà:

a.s. 2014/15 a.s. 2015/16 Incremento
Studenti 273.000 ca. 652.641 +139%
Istituti scolastici 3.000 ca. 4.968 +69%
Percorsi attivati 11.600 ca. 29.437 +154%

Lo stesso Ministero ha, inoltre, avviato, in collaborazione con INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa), una fase sperimentale di monitoraggio qualitativo, articolata in differenti fasi di ricerca, atta a rilevare l’efficacia dei progetti già avviati, in relazione agli obiettivi di apprendimento e alla valutazione delle competenze acquisibili.

Il Protocollo d’intesa MIUR-ANPAL

Per mezzo della sottoscrizione del Protocollo n. 19 del 12 ottobre 2017 da parte del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e dell’Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro (ANPAL), istituita ai sensi dell’art. 4 del D.lgs n. 150/2015, le parti hanno inteso portare a compimento la configurazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro, offrendo indicazioni operative e fornendo adeguati strumenti agli istituti scolastici per l’effettiva realizzazione dei progetti.

In particolare, le misure che l’ANPAL si propone di attivare entro tre anni dalla stipula, con l’intento di favorire la costruzione di solide collaborazioni tra le scuole e gli attori del mercato del lavoro, mirano al raggiungimento dei seguenti risultati:

  • predisposizione di strumenti, nonché di metodologie di assistenza tecnica, per rafforzare l’alternanza;
  • supporto nella realizzazione di altri percorsi di transizione scuola-lavoro;
  • supporto nel coinvolgimento, da parte delle scuole, di imprese per la promozione degli interventi di politica attiva del lavoro, nonché di misure ad altro titolo che vedano l’interconnessione tra istituti scolastici e mondo del lavoro.

A tal riguardo, particolare attenzione verrà riservata ai dirigenti scolastici ai fini del corretto espletamento delle procedure rientranti nelle relative competenze e attinenti l’individuazione delle imprese.

L’accordo prevede, altresì, che le Parti addivengano alla definizione di un efficace piano di comunicazione, idoneo a diffondere quanto pattuito nel Protocollo alla totalità degli Uffici Scolastici Regionali e ad una vasta platea su scala nazionale di Istituti di Istruzione Secondaria Superiore, permettendo in tal modo di garantire la maggior partecipazione possibile all’esperienza in oggetto e un’adeguata informazione agli studenti iscritti al triennio circa le modalità di realizzazione.

L’intervento più atteso, nonché dotato di maggior rilevanza, riguarda l’impegno, da parte di ANPAL, di mettere a di disposizione circa mille Tutor dell’Alternanza scuola-lavoro, o “tutor territoriali”, che agiranno sul territorio nazionale al fine di garantire l’effettivo “decollo” della nuova forma di apprendimento.

La figura del tutor territoriale: il c.d. “facilitatore”

Per mezzo di tali figure professionali che l’ANPAL si propone di fornire, entro tre anni dalla stipula del Protocollo, ad una platea di circa 5000 istituti scolastici (sia statali che paritari), sarà più agevole implementare i rapporti con gli enti e le imprese operanti sul territorio di riferimento. I tutor vestiranno i panni dei “facilitatori”, fungendo da veri e propri intermediari in un’opera di raccordo tra le tre componenti in campo: istruzione, formazione e lavoro.

Durante l’anno scolastico in corso i primi istituti a beneficiare della misura prevista dall’accordo saranno 1.250 e, nel corso del periodo di realizzazione indicato dal Protocollo, l’intervento seguirà le seguenti fasi operative:

  • ottobre 2017-dicembre 2017: “organizzazione operativa dell’intervento, selezione delle scuole, piano di promozione del programma”;
  • gennaio 2018-agosto 2018: “strutturazione e avvio dell’attività”;
  • settembre 2018-dicembre 2020: “realizzazione e consolidamento delle attività del programma, monitoraggio e valutazione dei risultati”.

L’assistenza offerta ai presidi, nonché alle altre figure interne alla scuola cui sia demandata la gestione dei programmi di alternanza, riguarda, in primo luogo, la gestione della fase di programmazione delle attività, cui far conseguire un contatto diretto con l’impresa individuata affinché l’effettiva realizzazione possa avere luogo compiutamente. A ciò si aggiunga un’opera di propulsione nei confronti degli stessi istituti scolastici per addivenire alla configurazione di strumenti ulteriori rispetto all’alternanza, quali stage e apprendistato di primo livello, nonché un monitoraggio della realtà territoriale in cui sia inserito l’istituto al fine di strutturare percorsi idonei a soddisfare il fabbisogno di professionalità dello specifico contesto.

Verranno, per di più, organizzati appositi momenti di “affiancamento, presentazione e incontro di possibili strutture ospitanti”, oltre ad azioni dotate di un maggior grado di concretezza e così riassumibili:

  • supporto nella predisposizione del “Piano di sviluppo” che potenzi l’offerta formativa;
  • predisposizione della c.d. “mappa delle opportunità”, con la quale informare direttamente gli studenti delle possibilità offerte dal mercato del lavoro;
  • collaborazione nella fase di accreditamento ai servizi del lavoro regionali, allorquando la scuola ne ritenga opportuna la partecipazione;
  • attività di raccolta delle disponibilità delle imprese;
  • promozione nei confronti delle aziende del Registro dell’Alternanza Scuola Lavoro di Unioncamere.

Le attività dei tutor saranno coordinate da una struttura di riferimento, il c.d. “Presidio Centrale di supporto alle attività dei Tutor”, cui sarà demandata la funzione di raccordo tra i team regionali, curando, in particolare, “l’aggiornamento delle competenze dei tutor, la raccolta e diffusione delle buone prassi e il monitoraggio dei risultati raggiunti, la promozione dell’intervento”. Rileva, prioritariamente, la competenza del presidio nell’attività di formazione degli esperti, che mira a caratterizzarsi in senso permanente allo scopo di “raccogliere bisogni, produrre materiale, socializzarlo e trasferirlo”.

Il lavoro che tali professionisti saranno chiamati a svolgere si presta ad assumere tratti differenti rispetto a quanto disposto dall’art. 5 del D.lgs n. 77/2005 con riferimento ai docenti tutor interni e tutor formativi esterni (o “tutor aziendali”). A dispetto dell’analogia terminologica, infatti, la funzione tutoriale caratterizzante i soggetti sopra citati riguarda, per i primi, lo svolgimento di attività di guida ai singoli studenti accompagnata dalla verifica della corretta fruizione dell’opportunità di alternanza e per gli esterni l’onere di “favorire l’inserimento dello studente nel contesto operativo” dell’impresa. Giova, ad ogni modo, rilevare come tra i compiti attribuiti dal Protocollo ai tutor territoriali sia rinvenibile una specifica attività di assistenza a favore di entrambe le figure.

Il Comitato paritetico

Il Protocollo in oggetto istituisce, altresì, all’art. 5 un organo di coordinamento, il c.d. Comitato paritetico, finalizzato primariamente al monitoraggio dell’andamento dei percorsi e alla formulazione di proposte per il miglioramento dei risultati e la cui effettiva costituzione è riservata all’Ufficio di Gabinetto del MIUR, in collaborazione con il Direttore Generale di ANPAL e con la Divisione Transizioni di ANPAL Servizi. A comporre il Comitato, basandosi sul criterio della parità, saranno i rappresentanti di ANPAL, ANPAL Servizi e Ministero dell’Istruzione, la cui partecipazione verrà garantita ex art. 6 a titolo rigorosamente gratuito.

Le attività cui l’organo sarà chiamato a dar corso riguardano la “selezione delle istituzioni scolastiche da coinvolgere nell’intervento” subordinata alla relativa definizione delle modalità di individuazione,  la ricerca di indicatori attendibili per un’opportuna valutazione delle esperienze in corso nella realtà nazionale, la predisposizione di documenti, dati e informazioni che possano risultare utili alle parti del Protocollo nel corso della realizzazione del progetto, nonché la “valutazione del rapporto di monitoraggio periodico” offerta da ANPAL Servizi.

Gli esoneri contributivi

A completare il quadro degli interventi volti a favorire la realizzazione del progetto di alternanza, occorre, in definitiva, richiamare gli esoneri, previsti dalla Legge di Bilancio 2017, che il legislatore ha inteso introdurre in qualità di incentivo per i datori di lavoro privati (che non svolgano attività di stampo imprenditoriale) all’accoglienza di studenti e alla successiva assunzione.

Ai fini dell’ottenimento del beneficio, è necessario che venga stipulato un contratto a tempo indeterminato e che questo sia sottoscritto entro sei mesi dal conseguimento del titolo di studio da parte del giovane (art. 1, comma 308 e ss. della L. 232/2016)  che è stato ospitato dall’azienda per l’esperienza di alternanza, quanto sopra a condizione che l’ammontare complessivo delle ore svolte presso l’azienda stessa raggiunga il 30% dell’intero percorso svolto dallo studente. Il medesimo beneficio contributivo spetta, altresì, alle aziende che assumano giovani con contratto di apprendistato.

L’esonero riguarda i versamenti contributivi relativi ai primi trentasei mesi del rapporto di lavoro, eccezion fatta per i contributi e i premi da corrispondere all’INAIL e nei limiti di 3.250,00 euro su base annua.

La copertura finanziaria della misura è garantita dallo stanziamento, operato dalla Legge di Bilancio di:

  • 7,4 milioni per il 2017;
  • 40,8 milioni per il 2018;
  • 86,9 milioni per il 2019;
  • 84 milioni per il 2020;
  • 50,7 milioni per il 2021;
  • 4,3 milioni per il 2022.

I rilievi critici

L’intero impianto del sistema di alternanza scuola-lavoro non può definirsi esente da rilievi problematici, come le recenti mobilitazioni studentesche sul tema hanno dimostrato. Taluno, a tal proposito, ha censurato possibili situazioni di sfruttamento nei confronti degli studenti accolti, in virtù della presunta assenza di tutele e della gratuità delle ore prestate, richiamando la necessità di un codice etico che imponga ai datori di lavoro coinvolti l’assunzione di condotte compatibili con la natura formativa del progetto.  Si è, altresì, posto l’accento sull’illogicità di buona parte dei percorsi ad oggi attivati che hanno visto, a titolo meramente esemplificativo, il coinvolgimento di studenti all’interno di call center. I pretesi abusi sarebbero imputabili all’assenza di un’adeguata preparazione del personale, sia scolastico che aziendale, preposto alla realizzazione dell’alternanza. A venire in rilievo, sarebbe anche lo scarso coinvolgimento dello studente nella fase di definizione del percorso, alla luce dell’assenza di una reale possibilità di espressione di preferenze.

A ben vedere, le considerazioni richiamate parrebbero attenere alla transitorietà della fase attuale di realizzazione, nelle more di un effettivo coordinamento tra i soggetti coinvolti che, peraltro, il Protocollo tenta di favorire. Un’opportuna valutazione circa la bontà dello strumento complessivo non può che essere subordinata alla verifica della qualità dei controlli che verranno effettuati verso eventuali abusi datoriali. Occorrerà, altresì, monitorare gli effetti a lungo termine della scelta legislativa relativa all’obbligatorietà di tale istituto, ossia valutare che alla previsione consegua un auspicabile mutamento anche “culturale” della concetto di formazione in rapporto all’esecuzione di attività lavorativa, cambiamento in assenza del quale i rilievi critici mossi da più parti finirebbero per acquisire un buon grado di concretezza.

avv. Monica Lambrou

CONTRIBUTO PUBBLICATO SU DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO DI IPSOA