In via generale si può affermare che il regime cui è assoggettato tale rapporto, fatte salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge o connesse ai limiti di esigibilità della prestazione, non si differenzia da quello ordinario. Vige, quindi, il principio di “normale trattamento economico, giuridico e normativo” sancito dall’art.10 della legge n.482 del 1968 e più volte confermato dalla giurisprudenza. Premesso, infatti, che lo Stato ha il dovere di fornire ai cittadini handicappati fisici la possibilità concreta di accedere al mondo del lavoro, una volta realizzata tale possibilità, il lavoratore disabile deve essere pienamente equiparato agli altri.
L’impresa che assume un disabile iscritto negli appositi elenchi è tenuta ad assegnarli una mansione adeguata alle sue capacità lavorative con conseguente possibilità per il portatore di handicap di chiedere la verifica della compatibilità tra la propria menomazione e il lavoro assegnato.
Il datore di lavoro destinatario di un avviamento obbligatorio non potendo opporre una generica incollocabilità del disabile in ragione della sua menomazione, anche se non deve adeguare l’assetto produttivo o l’organizzazione aziendale alle esigenze dell’avviato, deve però attribuirgli mansioni più idonee e compatibili con le sue menomazioni, anche attraverso una collocazione in servizi accessori e collaterali. L’impossibilità di collocamento deve essere provata in concreto, dimostrando il pregiudizio che potrebbe derivare per il portatore di handicap o per i compagni di lavoro in relazione a tutta l’area occupazionale dell’azienda.
Si può, inoltre, affermare la piena compatibilità del patto di prova con un rapporto di lavoro instaurato con una persona collocata obbligatoriamente. Tale assunto è confermato dal silenzio della legge sul punto e dal costante indirizzo della giurisprudenza che, tuttavia, ha operato delle limitazioni: oggetto della prova è la residua capacità lavorativa dell’invalido, il recesso per esito negativo della prova può essere sindacato sulla base delle oggettive circostanze che lo hanno determinato e nessuna valutazione di merito può essere effettuata dal Giudice di fronte all’apprezzamento che il datore di lavoro abbia fatto dell’attitudine e della diligenza dell’invalido nello svolgimento di mansioni compatibili con la sua condizione.
Una disciplina particolare viene dettata dalla legge in esame per il caso di aggravamento delle condizioni di salute del disabile o di significative variazioni dell’organizzazione di lavoro.
Sia il lavoratore disabile sia la parte datoriale potranno chiedere che vengano effettuati accertamenti dalla Commissione medica, individuata dall’art.4 della legge n.104 del 1992 integrata ex art.1 della legge n.68 del 1999, per verificare l’uno la compatibilità delle mansioni assegnate con il proprio stato di salute, l’altro la possibilità di continuare a utilizzare il disabile presso l’azienda. Nel caso in cui venga accertata l’incompatibilità il disabile ha diritto alla sospensione non retribuita del rapporto di lavoro fino a che l’incompatibilità persista. È, inoltre, previsto che la richiesta di accertamento e il tempo necessario per il suo compimento non costituiscono causa di sospensione del rapporto di lavoro.
In tema di avviamento obbligatorio il legislatore ha però stabilito che una volta costituito il rapporto di lavoro e assegnato il disabile a mansioni compatibili con la sua menomazione, il datore di lavoro non ha l’obbligo, nel corso del rapporto, di reperire mansioni compatibili con l’aggravato stato di invalidità del soggetto appartenente alle categorie protette alla luce della totale equiparazione del rapporto di lavoro con siffatti soggetti a quello ordinario.