La differenza di trattamento riservata, sul luogo di lavoro, alle donne rispetto agli uomini è sempre stato un tema molto delicato. Numerose sono le battaglie che sono state e che tuttora vengono combattute allo scopo di raggiungere finalmente l’eliminazione di qualsivoglia discriminazione.

Un passo in avanti in questo senso si è certamente verificato con l’approvazione del disegno di legge sulla parità salariale, il cui testo ha ricevuto da poco parere favorevole anche dal Senato della Repubblica. La base normativa poggia, naturalmente, sul Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D. Lgs. 198/2006), ovvero l’ultimo prodotto di una evoluzione sulla condizione delle donne iniziata formalmente quando, nel 1945, il diritto di voto veniva esteso in Italia a tutti i cittadini senza differenze basate sul sesso.

Soprattutto recentemente ha preso forma un filone giurisprudenziale in cui sono state fornite diverse concezioni di discriminazione cui la lavoratrice, soprattutto se anche madre, tende ad essere sottoposta e che vengono integrate in forma diretta o indiretta; nel primo caso, si tratta di quelle immediatamente riconoscibili: ad esempio, l’assegnazione ad un orario di lavoro diverso da quello di norma seguito dalla totalità dei dipendenti (si veda, in questo senso, il Decreto del 7 gennaio 2020 del Tribunale di Pesaro). Per quanto riguarda le discriminazioni indirette, invece, esse si configurano allorquando vengano poste in essere condotte apparentemente uguali erga omnes, ma proprio l’apparenza di tale equità – che, in quanto tale, prescinde dalle differenze sostanziali tra un lavoratore ed un altro – comporta delle conseguenze atipiche su una parte dei dipendenti, tale da causare una discriminazione di fatto nei loro confronti. In questo senso si è espresso il Tribunale di Firenze (sentenza n. 1414/2019; sul tema, si veda anche Trib. di Ferrara, sentenza del 25 marzo 2019), il quale ha stabilito che l’assegnazione ad un orario di lavoro che crei particolare svantaggio ai dipendenti che siano genitori (e, in particolar modo, alle madri) è configurabile quale discriminazione indiretta. Inoltre, il Tribunale si è pronunciato sul regime probatorio del caso chiarendo che, anche in relazione all’orario di lavoro, la prova che la sua gestione sia stata discriminatoria verso determinati dipendenti grava su questi ultimi ma in via attenuata: esso può infatti essere provato attraverso l’indicazione di presunzioni che siano precise e concordanti e che non debbano, dunque, integrare anche l’elemento della gravità; una volta che ciò sia stato appurato, l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione passa, finalmente, al datore al datore.

Anche nel disegno di legge che lo scorso 28 ottobre ha trovato l’approvazione del Senato si affronta l’elemento della discriminazione diretta ed indiretta; in particolare, relativamente al tema qui trattato, il provvedimento inserisce tra le fattispecie che integrano una discriminazione anche gli atti di natura organizzativa e oraria nei luoghi di lavoro, facendo chiaro riferimento agli interventi da parte del datore di lavoro che, modificando l’organizzazione delle condizioni e il tempo del lavoro, possano mettere la lavoratrice in una posizione di svantaggio.

Corre l’obbligo di sottolineare che, seppur d’avanguardia rispetto al passato normativo italiano, quest’ultima disposizione di legge rischia però di diventare presto obsoleta a causa della proposta di Direttiva della Commissione europea dello scorso marzo, la quale mira ad ottenere una maggiore trasparenza nei processi retributivi sul luogo di lavoro nonché un accesso più immediato alla giustizia, così da ottenere più facilmente la tutela dei diritti delle lavoratrici.

Infine, con la legge 5 novembre 2021 n. 162, art. 4,  a decorrere dal 1° gennaio 2022 e’ stata istituita “ la  certificazione  della parita’ di genere al fine di  attestare  le  politiche  e  le  misure concrete adottate dai datori di lavoro  per  ridurre  il  divario  di genere in relazione alle opportunita’ di crescita  in  azienda,  alla parita’ salariale a parita’ di mansioni, alle politiche  di  gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternita’”.

CONTRIBUTO PUBBLICATO SULLA RIVISTA HRONLINE