Specialmente nel periodo di difficoltà incontrato nello scorso anno 2020, il ricorso agli ammortizzatori sociali ha visto un’incredibile impennata. Ciò ha, naturalmente, comportato una serie di nuove complicazioni per datori e dipendenti che volessero usufruirne, aumentando i casi di specie e, dunque, la risoluzione pratica che la giurisprudenza ha dovuto adottare sì da raggiungere varie conclusioni dinanzi la casistica che si è presentata.

Un ammortizzatore sociale degno di nota e che richiede – peraltro – una procedura particolarmente complessa in determinati casi è la Cassa integrazione guadagni, oggetto della presente disamina e di cui andremo ad evidenziare, nei paragrafi che seguono, i tratti salienti al fine di inquadrarne le fattispecie che ad esso fanno capo.

Cassa integrazione guadagni

La Cassa Integrazione Guadagni è uno strumento che ha l’intenzione di offrire supporto economico al dipendente e al proprietario di un’azienda in crisi. Il D.Lgs. n. 148/2015 (in attuazione della delega della legge n. 183/2014) ha razionalizzato la normativa in materia di integrazioni salariali ed ampliato la platea dei beneficiari, uniformando i periodi di durata massima e commisurando la contribuzione addizionale in funzione del reale utilizzo del trattamento di integrazione salariale. Vi sono tre tipologie di Cig: Ordinaria, Straordinaria e una terza alternativa residuale, la Cassa integrazione guadagni in Deroga.

Cig Ordinaria

Si tratta di un intervento concesso dall’Inps nei confronti di aziende che facciano parte di determinati settori. Esso, infatti, è richiedibile dai datori di lavoro industriali (trasporti, manifatture, edilizia etc.) o artigiani (sempre con particolare riferimento al campo dell’edilizia). Per quanto riguarda i lavoratori, invece, possono usufruire dell’aiuto della Cig Ordinaria tutti quelli che abbiano raggiunto un’anzianità di servizio di almeno 90 giorni, e che siano stati assunti con contratto di lavoro subordinato o anche di apprendistato professionalizzante. Appare inoltre opportuno ricordare come, nel caso di congedo di maternità iniziato dopo 60 giorni dalla data di sospensione dal lavoro, la lavoratrice che si trovi, all’inizio del congedo stesso, sospesa e in godimento del trattamento di integrazione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni, ha diritto, in luogo di tale trattamento, all’indennità giornaliera di maternità. Al contrario, la lavoratrice in Cig all’inizio del periodo di maternità può usufruire dell’indennità ad essa connessa solo laddove tra l’inizio della sospensione e quello di tale periodo non siano decorsi più di 60 giorni. Sono esclusi da tale possibilità, invece, i dipendenti che prestino attività a domicilio e altresì i dirigenti.
La Cig Ordinaria può durare per 13 settimane continuative, ed è prorogabile trimestralmente fino ad un massimo di 52.
In caso di esito positivo, il trattamento complessivo integrato a titolo di Cassa integrazione corrisponde all’80% della retribuzione globale di norma ricevuta dal lavoratore mensilmente, relativa alle ore non prestate nel periodo per cui si richiede il trattamento. Al pagamento di dette somme provvede il datore di lavoro, cui l’Inps rimborserà o conguaglierà l’importo versato. L’importo del trattamento non può superare alcuni importi massimi (per l’appunto, i cosiddetti “massimali”), i quali vengono determinati e rivalutati annualmente. A tal proposito, si ricordi che l’articolo 1, comma 27, legge n. 247/2007, ha disposto che l’aumento dei tetti dei trattamenti di integrazione salariale, mobilità e disoccupazione debba essere determinato nella misura del 100% dell’aumento derivante dalla variazione media annuale dell’indice Istat dei prezzi al consumo. Le ore di cassa integrazione sono soggette agli obblighi contributivi già previsti dalla normativa attualmente vigente, mentre per i periodi di sospensione o di riduzione dell’orario di lavoro è prevista la c.d. “contribuzione figurativa”, che viene calcolata sulla base della retribuzione globale cui si riferisce l’integrazione salariale e non, come accade in altri casi, sull’ammontare della integrazione percepita. Al fine di richiedere di usufruire degli aiuti previsti dalla Cassa integrazione guadagni ordinaria, vi è uno specifico iter da seguire. Anzitutto, è necessario comunicare tale decisione alle rappresentanze sindacali interne all’azienda (laddove ve ne siano) o comunque con quelle maggiormente rappresentative a livello nazionale. Ciò, naturalmente, è previsto al fine di dare la possibilità ai dipendenti di essere tutelati dai propri sindacati, i quali discuteranno delle condizioni della Cig per conto dei lavoratori stessi con l’impresa in difficoltà. Tali attività hanno una scadenza precisa, fissata in 25 giorni dall’inizio delle consultazioni (che si aprono, dunque, con la comunicazione di cui al presente paragrafo). A questo punto l’impresa interessata presenta la domanda all’Istituto nazionale della previdenza sociale entro 15 giorni dalla sospensione o della riduzione dell’orario lavorativo, la quale deve contenere la causa di detta sospensione o riduzione, la sua durata (per quanto prevedibile), i nominativi dei lavoratori interessati, il numero di quelli mediamente occupati nel semestre precedente, nonché le ore richieste in regime di Cassa integrazione. Una volta ricevuta la domanda, l’Inps avvia un procedimento istruttorio volto all’accoglimento o al rigetto della stessa.

Cig Straordinaria

Con riferimento ai soggetti legittimati a richiedere l’intervento della Cigs, la discriminante rispetto alla sua alternativa Ordinaria, va ricercata nel numero di dipendenti (compresi apprendisti e dirigenti) che il datore di lavoro occupava fino a 6 mesi prima la crisi aziendale che ne ha causato la richiesta. A titolo meramente esemplificativo, tra queste rientrano anche le aziende editrici e stampatrici di giornali quotidiani, le agenzie di stampa a diffusione nazionale, i partiti e i movimenti politici, le imprese di vigilanza, nonché le agenzie di viaggio e turismo.

L’intervento della Cigs può essere richiesto in casi di riorganizzazione aziendale, di crisi aziendale (ad esclusione della cessazione dell’attività produttiva o di un suo ramo), o di contratti di solidarietà difensivi. Contestualmente alla domanda, l’azienda deve avere in mente un preciso programma di interventi con il quale intenda rimettere in sesto la propria attività produttiva. Esso può anche essere redatto con il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali. Perché sia approvato, il programma deve essere valutato tenendo conto dell’imprevedibilità dell’evento scatenante la crisi, dell’eventuale costanza di procedure concorsuali nonché della fondatezza del piano di risanamento e degli indicatori economico-finanziari di bilancio. Con particolare riferimento al concetto di crisi aziendale, è in tali casi concesso il trattamento di Cassa integrazione guadagni straordinaria anche quando la situazione di crisi risulti conseguente ad un evento improvviso ed imprevisto, esterno alla gestione aziendale, tra cui rientrano tutti quegli eventi che, pur non potendosi definire eccezionali, possono aver avuto un immediato impatto sulla gestione economicoproduttiva dell’azienda. A titolo meramente esemplificativo, potrebbe ricorrere l’interruzione improvvisa dell’affidamento di commesse da parte di un’azienda nei confronti di un’altra, se da queste essa dipenda esclusivamente, o per la maggior parte (così come riportato dalla circolare n. 50/2000 del Ministero del Lavoro). L’evento improvviso ed imprevisto è riferibile non solo a puntuali fattispecie ascrivibili alla singola impresa, ma anche a tutte quelle situazioni emerse in ambito nazionale o internazionale che comportino una ricaduta sui volumi produttivi aziendali o su quelli generali di attività, e di conseguenza sull’occupazione (la riduzione di commesse, la perdita di quote del mercato nazionale o la riduzione del medesimo, la contrazione delle esportazioni, la difficoltà di accesso al credito).

Per quanto riguarda la durata, la Cassa integrazione guadagni straordinaria cui si faccia ricorso a seguito di crisi aziendale può essere mantenuta per un massimo di 12 mesi, anche continuativi. Pure in ipotesi di straordinarietà, il trattamento ammonta all’80% della retribuzione globale di norma spettante al dipendente per ciascun mese di attività lavorativa.

Peraltro, già durante la procedura di consultazione sindacale ma prima del provvedimento di ammissione al trattamento straordinario di Cassa Integrazione, è possibile che le parti coinvolte si accordino affinché ai lavoratori sia anticipata una somma pari all’importo dell’integrazione salariale. Successivamente, laddove la richiesta di Cigs dovesse avere esito positivo, il datore di lavoro che avrà anticipato le indennità ai lavoratori potrà conguagliare tali importi con la procedura UniEmens. L’erogazione diretta della prestazione da parte dell’Inps è subordinata alla verifica, da parte del competente organo ispettivo, di comprovate difficoltà di carattere finanziario dell’azienda istante, così come riportato dal Ministero del lavoro in una sua circolare (n. 64/2000).Al fruire della Cassa integrazione guadagni straordinaria consegue una sospensione delle reciproche obbligazioni del lavoratore e del datore di lavoro connesse al rapporto di lavoro subordinato, nonostante il rapporto stesso permanga giuridicamente sussistente ed efficace. Infatti, pur restando intatto sul piano formale, il contratto di lavoro viene sospeso, così come le prestazioni cui, in forza di esso, le parti coinvolte sono di norma obbligate: la prestazione dell’attività lavorativa, così come il dovere di retribuzione, sono pertanto sospesi.

Cig in Deroga ed emergenza epidemiologica da Covid-19

Quando le aziende in crisi o in mera difficoltà economica non integrano i requisiti per fare ricorso agli strumenti di cui ai paragrafi precedenti (o nel caso in cui ne abbiano già usufruito per il tempo massimo consentito), la terza via è offerta dall’istituto della Cassa integrazione guadagni in Deroga (Cigd).

Nello specifico, si tratta di un ammortizzatore che può essere richiesto dalle imprese, dai piccoli imprenditori o dalle cooperative sociali che operino nei settori, tra gli altri, della manifattura, dell’edilizia, dell’abbigliamento, del tessile che si trovino in grave crisi occupazionale.

La Cigd può essere concessa o prorogata ai lavoratori subordinati con la qualifica di operai, impiegati e quadri, compresi gli apprendisti e i lavoratori somministrati, con un’anzianità lavorativa presso l’impresa di almeno 12 mesi alla data di inizio del periodo di intervento.

L’Istituto nazionale della previdenza sociale chiarisce che il trattamento di Cigd può essere richiesto dai soggetti giuridici qualificati come imprese ai sensi dell’articolo 2082 del codice civile, dai piccoli imprenditori di cui all’articolo 2083 del codice civile (coltivatori diretti del fondo, artigiani, piccoli commercianti) e dalle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381 con riferimento ai lavoratori che hanno instaurato con la cooperativa un rapporto di lavoro subordinato.

La durata della Cassa integrazione in Deroga, laddove concessa, corrisponde ad un massimo di 12 mesi e comporta la corresponsione, per tutto il periodo, dell’80% della retribuzione globale normalmente riconosciuta ai lavoratori. La domanda deve essere proposta dai datori di lavoro in difficoltà alle Regioni o alle Province Autonome nel cui territorio è stabilita la sede legale dell’azienda e, se vi è esito positivo, essa viene concessa sulla base di risorse disposte dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

È bene specificare che, al momento della sua creazione, la Cigd era considerata una mera disciplina transitoria per il triennio 2013-2016. Il trattamento in questione è poi stato concesso nei limiti delle risorse finanziarie inizialmente destinate a tale scopo nell’ambito del Fondo sociale per occupazione e formazione, che in seguito è stato appositamente rifinanziato tramite vari interventi legislativi. La legge n. 92/2012, con il dichiarato scopo di assicurare la gestione delle situazioni derivanti dal perdurare dello stato di debolezza dei livelli produttivi del Paese, aveva mantenuto in vita il sistema degli ammortizzatori sociali in deroga, nei limiti delle risorse disponibili.

Cig e divieto di licenziamento nell’emergenza epidemiologica

A seguito della pandemia globale avvenuta nel 2020, nonché delle conseguenze che essa ha avuto nel mondo economico-lavorativo, l’istituto della Cassa integrazione in Deroga è divenuto centrale al fine di contrastarne gli effetti negativi. Infatti, il Decreto Legge c.d. “Cura Italia” (n. 18 del 17 marzo 2020) recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, ha esteso a tutta Italia la possibilità di richiedere l’indennità di norma riconosciuta a seguito di domanda per Cigd al fine di consentire alle aziende in crisi a seguito dell’emergenza da Coronavirus le difficoltà economiche in questo senso vissute. È stato così previsto che i datori di lavoro (tendenzialmente senza limiti relativi alla capacità occupazionale delle aziende), anche se già beneficiari della Cassa integrazione guadagni Straordinaria, possono richiedere l’intervento della Cig in deroga anche laddove sospendano o riducano l’attività a seguito dell’emergenza epidemiologica per la durata massima di 18 settimane (9 previste dal Cura Italia e 9 dal nuovo D.L. c.d. “Rilancio”, n. 34/2020).

Oltre ad un significativo ricorso all’istituto della Cassa integrazione in Deroga cui la pandemia globale da Covid-19 ha portato all’inizio del 2020, essa ha avuto una serie di conseguenze tra le più disparate nel mondo del lavoro. Tra questi, per quasi tutto l’anno passato e i primi mesi di quello in corso, è stato imposto il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo dei dipendenti di aziende in crisi. Ciò si collega all’argomento di cui al presente articolo in quanto, recentemente, il c.d. “blocco dei licenziamenti” è stato prorogato sino al 30 giugno 2021 (Decreto “Sostegni” n. 41/2021)

Corte di Cassazione, sentenza n. 16851/2020

Venendo all’argomento centrale della presente trattazione, la sentenza decideva su ricorso proposto dall’Istituto nazionale della previdenza sociale contro una propria ex dipendente. Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Perugia aveva ritenuto irripetibile la somma erogata alla lavoratrice a titolo di integrazione salariale per il periodo in cui l’azienda datrice di lavoro aveva usufruito della Cassa integrazione guadagni Ordinaria.

In particolare, il Tribunale e la Corte territoriale condividevano la ratio secondo la quale non era integrata la decadenza dal trattamento previsto dal D.L. n. 86/1988 (art. 8, c. V) – decadenza che l’Inps riteneva causa fondante della richiesta di recupero delle somme. Tale domanda veniva avanzata, peraltro, in considerazione del fatto che la dipendente avesse svolto attività di lavoro subordinato in favore di un altro datore di lavoro per parte del periodo in cui restava in costanza di Cassa integrazione. Ciò si verificava, la lavoratrice non era a conoscenza della concessione dell’istituto in argomento.

A favore della propria richiesta, l’Inps sosteneva che il trattamento di integrazione salariale non spettasse alla lavoratrice in quanto era stata licenziata dal datore di lavoro in epoca anteriore alla decorrenza della Cassa integrazione.

Nuovamente soccombente nel grado d’appello, l’Istituto proponeva ricorso in Cassazione sostenendo che, nel confermare la sentenza di primo grado, la Corte territoriale avesse riconosciuto alla dipendente il trattamento di integrazione salariale in deroga per il periodo dal 14 giugno 2010 al 30 ottobre 2010, nonostante il difetto di prova a suo carico della sussistenza dei requisiti del diritto e, in specie, del presupposto della sospensione del rapporto di lavoro, trattandosi di azione di accertamento negativo dell’indebita percezione della prestazione previdenziale.

La Cassazione riteneva il ricorso fondato, chiarendo alcuni aspetti in via preventiva, e cioè che “in tema di indebito previdenziale, il percipiente ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata e già ricevuta (Cass. S.U., n. 18046 del 4 agosto 2010, Cass. n. 1228 del 20 gennaio 2011, n. 2739 dell’11 febbraio 2016)”. Pertanto, era onere della lavoratrice allegare e dimostrare la sussistenza dei requisiti per l’erogazione dell’integrazione salariale (tra cui l’essere lavoratore sospeso o ad orario ridotto) e tale accertamento era preliminare ed assorbente rispetto alla buona fede (o meno) della percipiente nella comunicazione dello svolgimento, durante il periodo di cassa integrazione, di attività lavorativa. Per mero tuziorismo giuridico, e al fine di chiarire meglio l’aspetto appena considerato, si riporta peraltro quanto presente nella citata sentenza n. 2739 dell’11 febbraio 2016, in cui si chiariva che in tema d’indebito previdenziale, nel giudizio instaurato per ottenere l’accertamento negativo dell’obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale ritenga indebitamente percepito, è a carico esclusivo dell’“accipiens” l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata, ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto.

Peraltro, a fini di mera completezza, è bene sottolineare che il motivo su cui l’Inps fondava il proprio diritto alla ripetizione, era stato indicato dall’Istituto solo in fase di appello, e relativamente a questa eventuale problematica la Suprema Corte riportava che “La Corte riteneva altresì che non potesse darsi spazio all’eccezione formulata dall’INPS solo in sede d’appello, secondo la quale il trattamento di integrazione salariale non spettava in quanto la lavoratrice era stata licenziata dal datore di lavoro in epoca anteriore alla decorrenza della cassa integrazione, essendo stato in tal modo introdotto in giudizio un nuovo thema decidendi, con alterazione dell’oggetto sostanziale dell’azione e dei termini della controversia, in violazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2 […] La valorizzazione da parte dell’Inps (solo in appello) del fatto che la C. [N.d.R., la lavoratrice] non avesse diritto alla Cig perché licenziata prima della sua concessione non integrava – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale – nuova eccezione (né in senso proprio né in senso lato), bensì mera difesa basata su fatti (le date di licenziamento e di concessione della Cigs) già appartenenti al materiale di causa perché addirittura allegati dalla stessa C. con il ricorso introduttivo del giudizio. Costituiva in effetti la sollecitazione della corretta applicazione alla fattispecie come risultata in causa della normativa che la disciplina, non soggetta al divieto previsto dall’art. 437 c.p.c., comma 2”.  Pertanto, la decisione della Suprema Corte è risultata essere una vittoria per l’Istituto previdenziale, ritenendo la stessa illegittima la Cassa integrazione percepita per oltre 4 mesi dalla dipendente in questione, nei confronti dei quali sono stati considerati ripetibili da parte dell’Inps gli oltre 4 mila euro versati in suo favore.

CONTRIBUTO PUBBLICATO SU DIRITTO&PRATICA DEL LAVORO