Nell’ambito del contratto di somministrazione di lavoro, al netto della rilevanza della disciplina legislativa di riferimento, un’assoluta importanza è rivestita da quanto pattuito in sede di contrattazione collettiva. Giova, pertanto, in questa sede, analizzare i tratti salienti del Contratto collettivo nazionale di lavoro per la categoria delle Agenzie di Somministrazione di lavoro, sottoscritto in data 15 ottobre 2019, sulla base dell’accordo di rinnovo raggiunto in data 21 dicembre 2018 (e valido sino al 31 dicembre 2021) da Assolavoro, Assosomm, Felsa-Cisl, Nidil-Cgil e Uiltemp e che trova applicazione, nello specifico, nei confronti della totalità delle Agenzie operanti sul territorio e dei relativi rapporti di lavoro con prestatori in somministrazione. Ciò vale, peraltro, sia con riferimento agli assunti a tempo determinato (su cui, occorre sin d’ora sottolineare, si registrano le novità più rilevanti) che a tempo indeterminato (in regime di c.d. staff leasing).

Regime transitorio
Si segnala, in primo luogo, che all’entrata in vigore del c.d. Decreto Dignità (Decreto legge 12 luglio 2018, n. 87) e all’emanazione della successiva circolare n. 17 del 31 ottobre 2018 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali era conseguita una discreta apprensione dei commentatori in merito alla durata massima dei contratti di somministrazione a tempo determinato. Se, infatti, in forza delle previsioni del citato decreto, la durata massima dei rapporti di lavoro a termine (cui ricomprendere anche l’ipotesi della somministrazione di lavoro a tempo determinato) era stata ridotta ad un periodo massimo di 24 mesi, era stato, altresì, prescritto come, ai fini di tale computo, dovessero ricomprendersi i rapporti antecedenti all’entrata in vigore del decreto stesso. Da ciò discendeva il concreto rischio – riguardante un’ampia platea di lavoratori – di rilevanti limitazioni nell’impiego di questi ultimi con tale forma contrattuale. Intervenendo a regolare la questione de quo, il Ccnl in oggetto ha, con ciò, provveduto a specificare che “… al fine di assicurare la massima continuità occupazionale dei lavoratori in somministrazione tutti i periodi di lavoro a tempo determinato contrattualizzati tra le medesime parti (Agenzia e lavoratore) ai sensi dell’art. 19, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015 “- e, quindi, trattasi dei lavoratori a termine alle dipendenze del medesimo datore per effetto di una successione di contratti – ”sono conteggiati, ai soli fini del computo della anzianità lavorativa antecedente al 1° gennaio 2019, per un massimo di 12 mesi esclusivamente nell’arco temporale di 5 anni” (vedasi, articolo 21, comma 2).

Proroghe dei contratti
In materia di contratti di somministrazione a termine, un aspetto del tutto dirimente è rappresentato dal numero di possibili proroghe consentito. Giova, al riguardo, ricordare come, con l’approvazione del c.d. Jobs Act (D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81), il legislatore aveva stabilito come “il termine inizialmente posto al contratto di lavoro” potesse in ogni caso essere prorogato con il consenso espresso del lavoratore e purché ciò avvenisse con atto scritto e aveva ulteriormente previsto come quanto sopra potesse avere luogo “nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore” (si veda, in proposito, l’articolo 34, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015). Orbene, il Ccnl in commento non si è astenuto da interventi sul punto. Stante il disposto di cui all’articolo 22, in particolare, è prescritto, da un lato, un regime di carattere generale e, dall’altro, un margine di proroga più ampio per talune (particolari) tipologie di prestatori. Nello specifico, all’Agenzia di somministrazione è concesso prorogare un contratto a termine sino ad un massimo di sei volte (purché non si ecceda l’arco “del limite legale di 24 mesi”), salvo il caso in cui il lavoratore rientri in una delle seguenti situazioni:

  • sia un lavoratore ritenuto “svantaggiato” ai sensi del Regolamento Ue 651/2014, art. 2, numero 4, lettere c), d), f) (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, a chi abbia superato i 50 anni di età anagrafica ovvero a chi viva “solo con una o più persone a carico”);
  • sia un lavoratore “molto svantaggiato” ai sensi del medesimo Regolamento e, in quanto tale, sia privo da almeno 24 mesi di un impiego regolarmente retribuito;
  • a prescindere dalle ipotesi di cui sopra, sia privo da almeno 12 mesi di un impiego regolarmente retribuito;
  • sia stato oggetto di ricollocamento presso un differente utilizzatore nell’ambito delle procedure relative al “diritto soggettivo alla formazione” ovvero alla “mancanze di occasioni di lavoro” disciplinate dal medesimo Ccnl;
  • rientri nelle tipologie di lavoratori eventualmente individuati in sede di contrattazione di secondo livello e/o territoriale “finalizzata ad assicurare forme di continuità occupazionale dei lavoratori”;
  • siano in stato di disabilità di cui alla legge n. 68/1999 (per tale categoria, tuttavia, lo stesso art. 22 specifica l’intenzione delle parti sociali di definire in una successiva – e separata – intesa un Avviso Comune finalizzato ad “intervenire normativamente sul vigente impianto normativo che al momento penalizza ingiustificatamente le possibilità di impiego di tali lavoratori”).

Con riferimento alle citate ipotesi, il numero massimo di proroghe consentite per un singolo contratto è pari a otto.

Diritto alla formazione
Si registra, altresì, un significativo intervento in materia di formazione dei lavoratori somministrati. Nello specifico, servendosi dell’apposito Fondo istituito dall’art. 12, D.Lgs. n. 276/2003, cui le Agenzie di somministrazione stesse sono chiamate a contribuire versando il 4% della retribuzione corrisposta ai lavoratori, sarà possibile dar luogo ad iniziative formative differenziate a seconda che il contratto sottoscritto con il lavora
tore sia a tempo determinato ovvero a tempo indeterminato. Nel primo caso, le Agenzie potranno offrire (sulla scorta di quanto disposto dall’articolo 11, comma 2), coerentemente alle finalità prescritte dalla fonte citata, i seguenti modelli:

  • formazione di base, il cui contenuto deve caratterizzarsi per “almeno il 40%” in tema di sicurezza sul lavoro e per il restante 60% alla “ricerca attiva del lavoro, alla formazione su competenze digitali di base ed informatica (ad esempio: coding, internet of things, social media, realtà, aumentata ecc.), alle lingue e all’orientamento al lavoro;
  • c.d. formazione “on the job”: trattasi dei percorsi di formazione strettamente legati allo specifico contesto di riferimento nell’ambito del quale il lavoratore viene inserito, che coincidono, quindi, con le esigenze dell’impresa utilizzatrice caratterizzate da “brevità e immediatezza”; al riguardo, lo stesso Ccnl specifica come detti percorsi possano avere luogo “mediante interventi presso l’azienda utilizzatrice da realizzarsi con l’affiancamento di un tutor”;
  • formazione professionale e placement: comprende i percorsi che si rendano necessari, non con riferimento al singolo contesto di riferimento, bensì in forza delle qualificazioni professionali richieste dal mercato e, in quanto tali, sono riservate anche ai soggetti selezionati dalle Agenzie di somministrazione che non siano ancora stati avviati ad alcuna missione presso le imprese utilizzatrici;
  • formazione continua e permanente: trattasi dei percorsi finalizzati ad adeguare le qualificazioni professionali all’evoluzione delle professioni e dei contenuti delle mansioni, al miglioramento delle competenze, nonché all’acquisizione di qualificazioni che rafforzino la competitività delle imprese e ciò, in linea generale, allo scopo di “evitare l’invecchiamento delle competenze in possesso dei lavoratori” e pervenirne le possibili conseguenze negative “nel mercato del lavoro nel settore”. Alle citate iniziative, si affiancano quelle specificatamente prescritte per i lavoratori in somministrazione a tempo indeterminato, che si caratterizzano come segue (articolo 11, comma 3);
  • attività di qualificazione e riqualificazione professionale: trattasi delle attività finalizzate a rafforzare – in costanza di rapporto di lavoro – le posizioni professionali dei lavoratori per l’acquisizione di competenze ulteriori rispetto a quelle sussistenti all’atto dell’assunzione, con “l’acquisizione e l’integrazione di competenze di base e trasversali, lo sviluppo delle competenze professionali unitamente agli addetti in forza all’utilizzatore” e l’ ”acquisizione di competenze specialistiche”;
  • attività di formazione continua: trattasi di attività da interpretarsi in senso analogo a quanto citato in materia di somministrazione a termine e che, oltre all’ipotesi dei lavoratori a tempo indeterminato, possono estendersi, altresì, ai lavoratori in regime di apprendistato; dette iniziative sono ammesse, in tal senso, al fine dell’acquisizione di brevetti professionali ovvero “percorsi formativi con certificazione delle competenze” ad altro titolo, purché rilasciata da “soggetti accreditati/autorizzati dal sistema del lavoro”.

Welfare
Al recente accordo si deve, altresì, un potenziamento degli strumenti di welfare del settore in favore dei lavoratori in somministrazione. In particolare, con l’obiettivo dichiarato nello stesso Ccnl di garantire la “parità di trattamento” economico ex articolo 35, D.Lgs. 81/2015, principio per il quale – in linea generale – il prestatore somministrato non può che vedersi riconosciute analoghe tutele rispetto agli altri lavoratori con contratto di lavoro “canonico”, l ’art. 14 specifica che, nell’ambito dell’unità produttiva ove è concretamente addetto il soggetto, quest’ultimo ha diritto di fruire della totalità dei servizi assistenziali eventualmente previsti in favore degli altri dipendenti dell’azienda utilizzatrice. Ciò vale ad esclusione dell’ipotesi in cui il godimento degli stessi da parte del lavoratore in somministrazione “sia condizionato alla iscrizione ad associazioni o società cooperative o al conseguimento di una determinata anzianità di servizio”. Al riguardo, spetterà a successive intese tra le parti sociali la regolazione degli specifici strumenti che possano armonizzare, ove possibile e “in termini suppletivi”, il welfare bilaterale della somministrazione “con quello di tutti i settori produttivi, per garantire” la citata parità di trattamento economico complessivo “ai lavoratori somministrati”, oltre all’impegno – anch’esso dichiarato nell’ambito del medesimo articolo 14, Ccnl Agenzie di somministrazione – a dare luogo ad un’adeguata opera informativa e divulgativa (tramite la creazione di strumenti idonei) in merito al sistema di Welfare bilaterale allo stato attuale vigente. Peraltro, si segnala che, con riferimento ad uno dei “pilastri” dei sistemi di welfare, ossia la previdenza complementare/integrativa, il Ccnl chiarisce che la “forma pensionistica negoziale per i lavoratori in somministrazione” è rappresentata dal Fondo pensione Fon.Te. Trattasi, nello specifico, di un fondo introdotto, invero, nell’ambito del Contratto collettivo del Terziario, Commercio, Turismo e Servizi, ma esteso alla particolare ipotesi della somministrazione, che consente ai singoli lavoratori, previa destinazione del proprio trattamento di fine rapporto, da un lato, di godere di una pensione complementare in aggiunta a quella pubblica e, dall’altro, di richiedere in futuro eventuali anticipazioni, riscatti, trasferimenti e rendite integrative temporanee, oltre agli svariati vantaggi di natura fiscale (tra cui la possibilità di dedurre i costi, nonché di godere di una tassazione sostitutiva agevolata).

Ferie solidali
Un’assoluta rilevanza è, poi, rivestita dall’istituto delle c.d. “ferie solidali”. Come è noto, allo scopo di offrire una tutela ulteriore ai lavoratori che, in particolari periodi della propria vita, si ritrovino ad affrontare problematiche legate alle condizioni di salute dei propri figli, nonché ad incentivare il consolidarsi di un sistema di solidarietà tra colleghi di lavoro, il legislatore ha provveduto, per mezzo della modifica dell’art. 24, Decreto legislativo 14 settembre 2018, n. 151 (c.d. Jobs Act), ad introdurre nell’ordinamento italiano detto istituto, che consta in un peculiare meccanismo di cessione delle ferie maturate. Nello specifico, per il prestatore di lavoro è possibile rinunciare (gratuitamente) a parte delle proprie ferie ovvero dei riposi maturati e di offrirli ad un altro lavoratore – che presti la propria attività presso il medesimo datore di lavoro – per consentirgli di “assistere i figli minori che per le particolari condizioni di salute necessitano di cure costanti” (vedasi, ancora, art. 24, D.Lgs. n. 151/2018).
In proposito – e al fine di valorizzare la specificità dei contesti e la peculiarità delle situazioni – lo stesso Legislatore ha attribuito una particolare pregnanza al ruolo delle parti sociali in sede di contrattazione, statuendo che la cessione di cui sopra possa avere luogo “nella misura, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale applicabili al rapporto”. Ebbene, il Ccnl in argomento non si è astenuto dall’intervenire a regolare la questione. Occorre, al riguardo, fare riferimento a quanto disposto nell’ambito dell’articolo 30 che, nel chiarire la natura sperimentale dell’introduzione con durata pari al periodo di vigenza del Ccnl stesso, ne ha prescritto condizioni e modalità operative. In particolar modo, il lavoratore avrà modo di dar luogo alla cessione richiamata, non ai lavoratori regolarmente assunti presso l’utilizzatore, bensì soltanto “ad altro lavoratore in somministrazione (cessionario) dipendente della medesima agenzia per il lavoro e in missione presso il medesimo utilizzatore”. Peraltro, oltre all’ipotesi prevista dalla legge di figli minori in particolari condizioni di salute e necessitanti di cure costanti, il Ccnl de quo estende la tutela a tutte le possibili situazioni di grave necessità “inerenti allo stato di salute del cessionario o di altri componenti del nucleo familiare”, purché lo stato di necessità sia sorretto dalla “presentazione di adeguata certificazione”. Va, altresì, aggiunto come la cessione non sia del tutto scevra da limiti, posto che è facoltà del lavoratore offrire al collega le sole giornate di ferie che – eventualmente – eccedano le quattro settimane annuali (cui non è possibile rinunciare come previsto dall’articolo 10l, D.Lgs. n. 66/2003) ovvero le giornate di riposo previste per le festività soppresse (vedasi quanto disposto dalla legge n. 937/1977). Non incontra, per converso, limiti quantitativi la possibile cessione delle ore di permesso che siano prescritte dal contratto collettivo di riferimento. Quanto al lavoratore beneficiario della cessione, occorre osservare come quest’ultimo abbia modo di godere dell’offerta di cui sopra soltanto ove abbia già integralmente fruito delle giornate e ore di permesso a sua disposizione e, come è inevitabile, allo stesso non è consentito fruire di quanto ceduto nel caso in cui venga meno lo stato di necessità che lo giustifica. In detta circostanza, infatti, lo stesso art. 30 del Ccnl chiarisce che “le giornate tornano nella disponibilità di ciascun lavoratore cedente in misura proporzionale” (si consideri, al riguardo, che la cessione può avere luogo da parte di gruppi di lavoratori) “rispetto alla quantità equivalente delle ore cedute”.

Esigenze di flessibilità e Monte ore garantito
Giova, da ultimo, esaminare il profilo maggiormente peculiare del Ccnl in oggetto e, segnatamente, trattasi del c.d. “Monte ore garantito” (Mog), uno strumento di flessibilità particolarmente innovativo introdotto, per la prima volta, nell’ambito del Ccnl Agenzie di somministrazione il 7 aprile 2014. In seguito ad una preliminare fase di sperimentazione, con il rinnovo del contratto in questione, le parti hanno provveduto a regolarlo quale “modalità propria di utilizzo della somministrazione di lavoro”. In linea generale, può parlarsi di una vera e propria tipologia negoziale, per la quale l’agenzia di somministrazione provvede alla sottoscrizione di un contratto di lavoro a tempo determinato con il prestatore e, nell’ambito dello stesso, individua uno specifico orario di lavoro, dacché al soggetto viene garantita la corresponsione di emolumenti con riferimento ad una percentuale di detta fascia oraria, purché quest’ultimo risulti reperibile e disponibile a rendere, su chiamata, la propria prestazione. Appare evidente come, quindi, il concreto svolgimento delle attività richieste al lavoratore sia subordinato alla chiamata dell’agenzia. Nello specifico, la disciplina di riferimento è rinvenibile nell’ambito dell’articolo 51. Occorre, in primo luogo, sottolineare che la durata minima del contratto di lavoro varia a seconda del settore produttivo di riferimento. In ragione della peculiare natura di alcuni contesti che, per espresso chiarimento del Ccnl, sono “connotati da una necessaria modulazione flessibile della prestazione” (trattasi delle attività dei servizi di ristorazione, alloggio, agenzie di viaggio, tour operator, prenotazioni e attività connesse, nonché altre attività di servizi alla persona), agli stessi è riservata una durata minima contrattuale di un mese. Con riferimento, invece, alle altre attività (tra cui, a titolo meramente esemplificativo, commercio al l’ingrosso, commercio al dettaglio, telecomunicazioni, assistenza sanitaria, ecc.) è previsto un periodo minimo di tre mesi. Si consideri, peraltro, che nella prima ipotesi la percentuale di retribuzione garantita al prestatore è pari “al 30% su base mensile dell’orario di lavoro normale (a tempo pieno) applicato presso l’azienda utilizzatrice” e, nel secondo caso, è pari al 25%. Ciò vale, in ogni caso, purché risulti rispettato il principio di parità di trattamento retributivo rispetto ai dipendenti direttamente assunti presso l’impresa utilizzatrice. Il lavoratore sarà chiamato ad offrire la propria disponibilità a svolgere l’attività per cui è assunto in funzione delle concrete esigenze organizzative dell’utilizzatore in ogni momento, ma con il diritto a vedersi comunicati “l’orario e/o il giorno della prestazione” con un preavviso minimo di “24 ore prima dell’inizio dell’attività stessa”. Come è evidente, all’eventuale rifiuto del prestatore consegue il venir meno, per l’altra parte, dell’obbligo di retribuzione minima e, laddove tale rifiuto debba intendersi come “ingiustificato”, lo stesso lavoratore non può che essere ritenuto assente e, come tale, soggetto ai provvedimenti disciplinari del caso (per le sanzioni concretamente applicabili, si veda l’art. 34 del Ccnl). Oltre l’orario prestabilito, per converso, non sussiste alcun obbligo di disponibilità nei confronti del lavoratore somministrato, il quale avrà modo di decidere se rendere la prestazione a propria completa discrezione. Una volta conclusosi il rapporto di lavoro (in regime di Monte ore garantito), oltre alla necessaria corresponsione del trattamento di fine rapporto, nonché alla liquidazione degli eventuali ratei di ferie maturate e non godute, occorrerà dare luogo ad una verifica complessiva delle ore prestate e, allorquando queste ultime siano inferiori rispetto all’orario minimo di cui al contratto collettivo applicato dall’impresa utilizzatrice, “deve essere riconosciuta al lavoratore la differenza retributiva a conguaglio con l’orario inferiore svolto”. Non v’è dubbio, in proposito, che se, da un lato, tale particolare forma contrattuale si presta realmente a riscontrare un’effettiva esigenza di flessibilità delle imprese (soprattutto in determinati contesti), dall’altro – seppur con maggiori garanzie – parrebbero, in ogni caso, sussistere in capo al lavoratore alcuni dei rischi di abusi che connotano il contratto di lavoro a chiamata (o “contratto di lavoro intermittente”). Sarà, con ciò, indispensabile che l’opera di monitoraggio cui dar luogo – affidata dallo stesso articolo 51 “alla Commissione paritetica nazionale” – si caratterizzi in senso effettivo.

CONTRIBUTO PUBBLICATO SU DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO DI IPSOA