La circostanza per la quale l’amministratore di una società deleghi le funzioni di controllo in materia di sicurezza sul lavoro ad un altro soggetto, non è sufficiente ad esonerare lo stesso amministratore (e la società da questi rappresentata) dalla responsabilità per i danni occorsi ai lavoratori.

Tale principio emerge, da ultimo, dall’assai recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, la quale, con l’ordinanza n. 12753 del 14 maggio 2019 è, appunto, intervenuta in tema di sinistri verificatisi sul luogo di lavoro e della relativa riconducibilità all’operato delle figure apicali aziendali.

In particolare, nel caso di specie, un lavoratore diveniva vittima di un infortunio all’atto dell’esecuzione della propria prestazione alle dipendenze di una società, riscontrando evidenti danni ad un occhio. Nello specifico, questi aveva utilizzato un flessibile, senza preventivamente indossare alcun tipo di occhiale protettivo. Da tale vicenda, scaturiva l’instaurazione di un procedimento penale, nell’ambito del quale, nei primi due gradi di giudizio, l’amministratore unico della società veniva condannato in seguito all’accertamento del reato di lesioni personali colpose (in forma aggravata) ex art. 590 del Codice Penale. Allo stesso tempo, veniva riconosciuto un importo – a titolo di risarcimento del danno – al lavoratore, costituitosi parte civile nel procedimento.

Ebbene, all’esito del giudizio di legittimità, la Cassazione (Sezione Penale) dichiarava l’estinzione del reato in oggetto, con conseguente annullamento degli effetti civili delle pronunce citate e rinvio sul punto alla Corte d’Appello in sede civile. Investito della questione, il giudice di secondo grado aveva escluso la responsabilità dell’amministratore unico, da un lato, e della società, dall’altro, in considerazione del fatto che, in primo luogo, risultava dimostrata la regolare consegna dei dispositivi di protezione al dipendente (ivi compresi, appunto, gli occhiali protettivi che esso stesso aveva omesso volutamente di indossare), nonché l’adempimento degli obblighi informativi e, soprattutto, poiché l’amministratore aveva delegato ad un altro dipendente la funzione di controllo sui lavoratori.

Chiamata a pronunciarsi in seguito al ricorso promosso dal lavoratore, la Suprema Corte (Sezione Lavoro) è pervenuta a conclusioni diametralmente opposte, in ragione delle considerazioni che seguono. Primariamente, occorre rilevare che la circostanza per la quale, in sede penale, i giudici abbiano ritenuto di non condannare l’amministratore non rileva nell’ambito di un giudizio civilistico, posto che del tutto diversa risulta la valutazione dell’elemento soggettivo per le due differenti tipologie di responsabilità. Invero, premesso che, a norma dell’art. 2087 c.c., l’imprenditore è tenuto ad adottare “nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, l’onere della prova incombe sul lavoratore, limitatamente alla dimostrazione dell’avvenuto infortunio, del danno da esso derivato, nonché del “nesso causale tra l’uno e l’altro e la nocività dell’ambiente di lavoro” (in tal senso, vedasi Cassazione, sentenza n. 11622 del 18 maggio 2007), mentre grava sul datore – in ogni caso – l’onere di provare “di aver adottato tutte le cautele necessarie ad evitare il verificarsi dell’evento dannoso”.

Orbene, nel caso di specie, la Cassazione ha riformato la sentenza d’appello, poiché in secondo grado – e in assenza di una completa dimostrazione da parte dell’amministratore in ordine alle cautele di cui sopra – i giudici si erano limitati a negare la relativa responsabilità in considerazione dell’avvenuta delega della funzione di controllo in questione ad un altro soggetto. Come correttamente osservato dalla Suprema Corte, anche laddove si provasse che la funzione di controllo sul rispetto della normativa in materia di sicurezza da parte dei dipendenti sia stata effettivamente delegata ad altri, “ciò non escluderebbe la responsabilità” dell’amministratore “e della società che egli rappresenta”, con la conseguenza che la scusante presa in considerazione innanzi al giudice penale può dirsi assolutamente non invocabile “in sede civile”. Infatti, la disposizione di cui all’art. 1228 c.c. è, in tal senso, estremamente chiara, ove prescrive che “il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”. Dotato di analoga chiarezza è, altresì, il comma 10 dell’art. 8, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (in materia di “…miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro”), per il quale, con riferimento ai servizi di prevenzione e protezione, allorquando il datore “ricorra a persone o servizi esterni egli non è per questo liberato dalla propria responsabilità in materia”.

A tale premessa è conseguito l’accoglimento del ricorso promosso dal lavoratore e il rinvio sul punto alla Corte d’Appello.

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