La legge n. 179/2017, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 291 del 14 dicembre 2017, ha introdotto rilevanti novità in materia di whistleblowing, espressione con cui si intende la segnalazione di attività illecite nell’amministrazione pubblica o in aziende private, da parte del dipendente che ne venga a conoscenza. Nello specifico, la legge citata ha modificato la normativa concernente la tutela dei lavoratori del settore pubblico che segnalino reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito del rapporto di lavoro, e ha introdotto forme di tutela anche per i lavoratori del settore privato.

La legge n. 179 del 2017 consta di tre articoli:

L’art. 1 ha modificato l’art. 54 bis del T.U. sul Pubblico Impiego (d. lgs. n. 165 del 2001), in tema di tutela del dipendente pubblico che segnali illeciti. Dal confronto tra la precedente versione e quella attuale del citato art. 54 bis, come sostituito dalla legge n. 179 del 2017, si evincono le seguenti differenze:

Il testo previgente prevedeva che il pubblico dipendente che denunciasse all’autorità giudiziaria o alla Corte dei Conti o all’ANAC, o che riferisse al proprio superiore gerarchico condotte illecite, apprese in ragione del rapporto di lavoro, non potesse essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.

Il nuovo art. 54 bis fa riferimento, invece, al pubblico dipendente che “segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all’art. 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o denunciaall’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro ..”. Peraltro, per il dipendente che effettui tali segnalazioni o denunce nell’interesse dell’integrità della p.a., è attualmente previsto un divieto di demansionamento, di trasferimento o di sottoposizione ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. Diversamente, il testo previgente si limitava a prevedere il divieto di sanzionare, licenziare o sottoporre a misura discriminatoria, per motivi collegati alla denuncia, il segnalante.

Un’altra novità introdotta dal citato articolo 1 della l. n. 179 del 2017 è costituita dal ruolo centrale dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), che, secondo il nuovo testo dell’art. 54 bis, “in ogni caso” viene informata dell’adozione di misure ritenute ritorsive dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione in cui tali misure sono state poste in essere. La stessa ANAC è tenuta ad informare anche il Dipartimento della funzione pubblica del Governo e ad adottare apposite linee guida relative alla procedure per la presentazione e la gestione delle segnalazioni.

Inoltre, il nuovo testo dell’art. 54 bis specifica la nozione di “dipendente pubblico” ai fini dell’applicazione della disciplina, includendovi il dipendente di ente pubblico economico, il dipendente di ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell’art. 2359 c.c., nonché i lavoratori e collaboratori delle imprese fornitrici di beni e servizi e che realizzino opere in favore dell’amministrazione pubblica.

Si evidenzia, poi, la previsione di meccanismi sanzionatori al comma 6 del nuovo art. 54 bis. In primo luogo, se durante l’istruttoria da parte dell’ANAC venga accertata l’adozione di misure discriminatorie nei confronti del dipendente, la stessa Autorità anticorruzione irroga al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro, fermi gli altri profili di responsabilità. L’accertamento dell’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni ovvero l’accertamento di misure non conformi alle linee guida implica, invece, una sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro. La stessa sanzione (da 10.000 a 50.000 euro) si applica infine al responsabile, qualora venga accertato il suo mancato svolgimento di attività di verifica e di analisi  delle segnalazioni ricevute.

Si segnala, altresì,  la previsione della nullità degli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall’amministrazione o dall’ente e l’onere in capo all’amministrazione pubblica o all’ente di dimostrare che le misure adottate nei confronti del segnalante siano motivate da ragioni estranee alla stessa segnalazione.

Da ultimo, il comma 9 del citato art. 54 bis, contempla una clausola di esclusione, tale per cui le tutele non sono garantite qualora venga accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o per reati commessi con la denuncia ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave.

L’art. 2 della legge 179 del 2017attiene, invece alla tutela del dipendente o collaboratore che segnali illeciti nel settore privato. Nello specifico tale norma ha introdotto tre nuovi commi all’art. 6 della legge in materia di responsabilità amministrativa dell’ente (d. lgs. 231/2001). Il nuovo comma 2bisspecifica i requisiti dei modelli di organizzazione e gestione dell’ente idonei a prevenire reati. In particolare, tali modelli devono prevedere: a) uno o più canali che consentano la presentazione di segnalazioni circostanziate di condotte illecite, garantendo la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione; b) almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire la riservatezza dell’identità del segnalante; c) il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti,  nei confronti del segnalante per motivi collegati alla segnalazione; d) nel sistema disciplinare adottato ai sensi del comma 2, lett. e, sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettui con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelino infondate.

Il nuovo comma 2 terdell’art. 6, d. lgs. n. 231/2001 prevede la possibilità che l’adozione di misure discriminatorie nei confronti dei segnalanti sia oggetto di denuncia all’Ispettorato nazionale del lavoro, oltre che da parte del segnalante, anche dall’organizzazione sindacale da questi indicata.

Infine, il comma 2 quater del citato art. 6, stabilisce, sulla falsariga di quanto previsto per il pubblico impiego, la nullità del licenziamento ritorsivo o discriminatorio del soggetto segnalante, la nullità del mutamento di mansioni ex art. 2103 c.c. e di qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria nei confronti del medesimo segnalante. Da ultimo viene previsto, nel caso di controversie legate all’irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti o sottoposizione ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, l’onere in capo al datore di lavoro di dimostrare che le misure siano fondate su ragioni estranee alla segnalazione.

Infine l’art. 3 della legge n. 179 del 2017 ha introdotto una giusta causa di rivelazione del segreto d’ufficio (art. 326 c.p.), del segreto professionale (art. 622 c.p.), del segreto scientifico e industriale (art. 623 c.p.), nonché una giusta causa di violazione dell’obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro ex art. 2105 c.c., qualora il dipendente pubblico o privato, che effettui le denunce o segnalazioni, persegua l’interesse all’integrità delle amministrazioni, pubbliche e private, nonché alla prevenzione e repressione delle malversazioni.

Conclusivamente si evidenzia che la nuova legge in materia di whistleblowing appare finalizzata ad armonizzare la disciplina del settore pubblico e privato, al fine di realizzare una maggiore protezione al dipendente che segnali illeciti, rispetto a misure discriminatorie o comunque penalizzanti nell’ambito del rapporto di lavoro dipendente, sia  pubblico che privato. La ratio dovrebbe essere quella di incentivare le condotte virtuose dei soggetti che denunciano; esigenza avvertita sempre più non solo nel settore pubblico, stante la contrarietà delle condotte illecite con i principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., ma anche nel settore privato.

Ciò risulta peraltro in linea con diversi atti internazionali che prevedono forme di tutela in materia di whistleblowing (si veda Convenzione Onu contro la corruzione del 2003, art. 33, ratificata dall’Italia con l. 116 del 2009; Convenzione del Consiglio di Europa sulla corruzione, art. 9, ratificata con l. 112 del 2012).