Con la recente sentenza n. 25112 del 24 ottobre 2017, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in tema di condotta omissiva dell’avvocato ai fini del risarcimento del danno per responsabilità professionale, nello specifica circostanza in cui il prestatore d’opera ometta di riassumere il giudizio in seguito ad una pronuncia del giudice di legittimità.
Nel caso di specie, un lavoratore aveva convenuto i due difensori ai fini dell’accertamento della relativa responsabilità professionale per negligenza. In particolare, in seguito al giudizio di impugnazione del licenziamento intimato al cliente le cui sorti erano proseguite sino in Cassazione, i legali si erano astenuti dal riassumere la causa innanzi al giudice del rinvio, con ciò comportando l’inevitabile conseguenza della prescrizione del diritto vantato dal lavoratore. Il Tribunale di Milano aveva rigettato la richiesta risarcitoria in quanto non sorretta da adeguata prova circa gli effettivi danni patiti dall’attore; decisione, poi, riformata in sede di appello.
Investita della questione, la Corte ha avuto, peraltro, modo di offrire agli interpreti una ricognizione dei criteri adottabili in tema di nesso di causalità. In particolare, a dire degli avvocati citati, il cliente non avrebbe prodotto prove sufficienti a dimostrare che, in caso di riassunzione, la decisione del giudice del rinvio sarebbe risultata favorevole allo stesso (come, peraltro, affermato dal Tribunale in primo grado). Tale rilievo, a dire del Supremo Giudice, non può ritenersi condivisibile, in considerazione dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale che ha affermato la necessità dell’adozione della regola “della preponderanza dell’evidenza” con riferimento al nesso causale (trattasi del noto criterio del “più probabile che non”, richiamato in più di una pronuncia: Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 576 del 2008, Cassazione, sentenze n. 21255 e n. 23933 del 2013, nonché Cassazione, sentenza n. 22225 del 2014). Il predetto principio può applicarsi anche alle condotte di tipo omissivo, purché sia riscontrabile un’efficacia causale diretta dell’omissione nella determinazione del danno e, in caso di responsabilità professionale, la rilevanza dell’attività omessa va valutata in relazione alle regole che, a vario titolo, guidano l’attività professionale di specie. Nello specifico caso dell’omessa impugnazione da parte dell’avvocato, occorre valutare, sulla base delle argomentazioni offerte dal Collegio, la sussistenza del mancato vantaggio (trattasi, per l’appunto, di un danno patrimoniale da lucro cessante) che, in caso di diligenza dovuta, il cliente avrebbe potuto conseguire. D’altra parte, nell’impossibilità per le condotte a carattere omissivo di fornire prove certe e rigorose, l’accertamento cui deve dar luogo il giudice non può che essere ipotetico.
In altri termini, continua la Corte, affinché possa ritenersi sussistente una responsabilità per colpa è necessario effettuare “una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita” (in questo senso, si leggano anche Cassazione, sentenza n. 10966 del 2004, sentenza n. 9917 del 2010, sentenza n. 2638 del 2013). Applicando il predetto principio alla controversia in oggetto, la Cassazione ha avuto modo di constatare come la sentenza rescindente del giudice di legittimità relativa al licenziamento del lavoratore presentasse “vincoli stringenti posti in capo al giudice del rinvio”, demandando allo stesso esclusivamente taluni ulteriori accertamenti di fatto, e, quindi, idonea di per sé a fondare una valutazione probabilistica che, per l’appunto, nel caso di specie si è sostanziata a favore del cliente.
Merita, da ultimo, di essere segnalato il tema inerente l’ampiezza del mandato difensivo.La Corte ha, al riguardo, negato che potesse attribuirsi una qualche rilevanza al fatto che l’incarico professionale ricevuto dall’avvocato fosse “circoscritto al solo giudizio di Cassazione”. Invero, per quanto in assenza del conferimento della procura non potesse pretendersi che gli avvocati in questione provvedessero personalmente alla riassunzione del giudizio di rinvio, ad assumere rilevanza in termini di negligenza è stata l’omessa segnalazione al cliente relativa all’avvenuta pubblicazione della pronuncia e, dall’altro, la mancata informativa circa la necessità, ai fini di un esito favorevole per lo stesso, di provvedere alla riassunzione sopra richiamata. A tal proposito, continua la Corte, “che tale obbligo d’informazione fosse compreso nel mandato ricevuto” dai difensori “per il giudizio di Cassazione, non vi è alcun dubbio” e, a livello probatorio, “trattandosi di responsabilità contrattuale”, gli stessi sarebbero stati chiamati “a dimostrare di aver diligentemente adempiuto all’obbligo di informazione”.