Con la recente ordinanza n. 3708 del 15 febbraio 2018 la Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in merito al delicato tema del rapporto tra il promotore finanziario e la banca di riferimento, ove si registri una condotta illecita del primo. Occorre, a tal proposito, interrogarsi sulla possibilità per l’investitore che subisca pregiudizi dalla condotta del promotore di rivalersi, ai fini del risarcimento del danno, sull’istituto di credito che non fosse a conoscenza, nè avesse autorizzato, la relativa attività.
Ebbene, al fine di apprestare un’adeguata tutela a coloro i quali si ritrovino a contatto con un soggetto che, agendo impropriamente in nome della banca o della compagnia di assicurazioni, persegua invero finalità proprie ed illecite, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo elaborato il concetto di “nesso di occasionalità necessaria”, estendendo, in tal modo, all’istituto l’applicazione di una responsabilità ex art. 2049 c.c. (che, occorre precisare, consta in una responsabilità di natura oggettiva dei padroni e committenti per il fatto illecito “dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle funzioni a cui sono adibiti”). Il rapporto di occasionalità necessaria, in particolare, può ritenersi sussistente allorquando il dipendente – seppur nell’inconsapevolezza del datore – risulti agevolato nella commissione dell’illecito dalle normali mansioni allo stesso regolarmente affidate e dalla sussistenza del relativo rapporto di lavoro. Ciò detto, il titolare è chiamato a rispondere a titolo di responsabilità solidale se la condotta del lavoratore attenga o abbia una “qualsiasi relazione, sia pure marginale” con il predetto rapporto e possa, con ciò, riferirsi “alla sfera giuridica del committente” (si legga, in questo senso, Cassazione, sentenza n. 3442 del 1991). In altri termini, a nulla rileva che la condotta dannosa che abbia ecceduto l’incarico allo stesso conferito, sia frutto di una violazione di un obbligo contrattuale con il datore o sia stata perpetrata in modo autonomo, la banca risulta in ogni caso chiamata a rispondere purché – occorre precisare – sia riscontrabile una certa coerenza della condotta dannosa con le mansioni affidate (cfr. Cassazione, sentenza n. 12939 del 2007) e purché il fatto di risultare inserito in un determinato contesto lavorativo abbia reso, come è evidente, più agevole la perpetrazione dell’illecito.
Orbene, nel caso oggetto dell’ordinanza in commento, un investitore ricorreva avverso una sentenza della Corte d’appello di Venezia che aveva negato la sussistenza di una responsabilità solidale della banca, per le violazioni dell’attività del promotore, consistenti in sottoscrizioni di piani di investimento e corresponsione di somme con assegni, intestati alla società dell’investitore, del tutto irregolari. La Suprema Corte, nel ribadire i precedenti orientamenti in tema di “nesso di occasionalità necessaria”, ha affermato che, “affinché l’intermediario finanziario possa ritenersi solidalmente responsabile con il promotore” a venire in rilievo è anche l’attività e il grado di consapevolezza del soggetto danneggiato. Ove, infatti, vi siano elementi presuntivi (si pensi, a titolo esemplificativo, al numero delle operazioni irregolari e il valore complessivo delle stesse) che permettano di dedurre che lo stesso sia pienamente cosciente delle irregolarità del promotore e che, quindi, la relativa condotta presenti connotati “di anomalia”, ossia “se non di collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza”, la responsabilità della società va ritenuta esclusa.
L’elaborazione del concetto di occasionalità necessaria avrebbe trovato la sua ratio, a dire della Corte, nella tutela del risparmiatore, che, agendo ingenuamente, potesse ritrovarsi ingannato dalle operazioni del promotore. Nel caso di specie, le caratteristiche personali dell’investitore sono parse idonee a negare tale ingenuità, posto che lo stesso vantava una significativa “esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari” e possedeva, altresì, un’adeguata conoscenza “del complesso iter funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento”, tali da evidenziare un coefficiente soggettivo più intenso “della mera negligenza o tolleranza delle molteplici anomalie della condotta del promotore”. Questi, infatti, godeva della qualifica professionale di commercialista e dell’iscrizione all’albo dei revisori contabili e ricopriva, per di più, la carica di sindaco in ben due società di capitali.
A tali premesse è conseguito il rigetto della domanda anche in considerazione di un ulteriore elemento presuntivo, ossia la corresponsione in favore del promotore di importi extra, rispetto alle ordinarie commissioni bancarie.