La Corte di Cassazione, per mezzo dell’ordinanza n. 22197 del 22 settembre 2017, ha chiarito le regole di riparto dell’onere probatorio, allorquando si intenda contestare la veridicità della data apposta dal de cuius su un testamento olografo.
A tal proposito, occorre preliminarmente osservare come il negozio unilaterale in oggetto sia disciplinato dal Codice civile all’art. 602. A norma di tale disposizione, lo stesso può definirsi come la forma più semplice di espressione della volontà testamentaria, in quanto richiede, al netto della presenza di testimoni o di un atto del notaio, la mera redazione da parte del testatore e, ai fini della relativa validità, “deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano”.

Con specifico riferimento alla data, va rilevato come l’assenza della stessa comporti un vizio di annullabilità, dovendosi pertanto ritenere che il testamento conservi la propria efficacia fino ad un’eventuale pronuncia giudiziaria di annullamento. In questo senso, la disciplina differisce significativamente rispetto a quanto disposto per la mancanza della sottoscrizione ovvero dell’autografia, avendo riguardo di considerare come al verificarsi delle predette ipotesi il negozio risulti viziato da nullità (art. 606 c.c., comma 1) e sia, quindi, privo di effetti ab origine.
Nel caso di specie, ad essere oggetto di controversia era l’autenticità dell’elemento della data. In particolare, due soggetti differenti risultavano eredi universali del de cuius, alla luce di due distinti testamenti olografi dallo stesso redatti. L’erede designato in forza dell’atto più recente aveva promosso un’azione di petizione (con la quale, giova premettere, ai sensi dell’art. 533 c.c., l’erede può “chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi”), nei confronti dell’altro, in virtù della posteriorità della data. In altri termini, si rendeva necessario individuare quale dei due documenti fosse stato effettivamente redatto in un momento successivo, posto che la legislazione vigente (art. 682 c.c.) consente al testatore, per mezzo di una nuova disposizione testamentaria, di revocare tacitamente – e fino al momento del decesso – le precedenti eventualmente redatte, ove le disposizioni in esse contenute siano incompatibili.

Pur avendo ottenuto l’accoglimento della domanda in primo grado, alla luce delle risultanze della C.T.U. grafologica dalla quale era emerso come l’atto più recente dovesse considerarsi autentico, la Corte d’appello aveva riformato la sentenza, motivando la propria decisione con il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’attore, il quale non aveva dimostrato la posteriorità del negozio in proprio favore.
Orbene, occorre ulteriormente rilevare come, contrariamente alla completa assenza, la falsità della data non sia di per sé idonea a costituire causa di annullabilità (si legga, a titolo meramente esemplificativo, Cassazione, sentenza n. 23014 del 2015), ma viene in rilievo esclusivamente nei casi previsti dal comma 3 dell’art. 602 c.c., ossia quando si tratti “di giudicare della capacità del testatore” ovvero, come nella vicenda in esame, “della priorità di data tra più testamenti”.
A dire della Suprema Corte, il giudice d’appello sarebbe incorso in una violazione delle regole generali di riparto dell’onere della prova, in quanto, una volta accertata l’autenticità del negozio, “l’onere di provare la falsità o l’errore materiale dello stesso non può che gravare sulla parte che a tale pronuncia abbia un interesse giuridicamente rilevante a dedurla e farla valere in giudizio”. In particolare, nel caso di specie, sarebbe spettato al convenuto, designato erede dalla scheda testamentaria più risalente, proporre “domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura”, dimostrando la non veridicità della data riportata dal de cuius per errore materiale. Tale assunto si giustifica, stando alle argomentazioni della Corte, sulla base del presupposto che il testamento olografo sia un atto “caratterizzato da un’intrinseca forza dimostrativa” (come già affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 12307 del 2015).

E’ necessario, pertanto, concludere che sussista una presunzione di verità della data indicata dal testatore, come peraltro inequivocabilmente prescritto dal tenore dell’art. 602 c.c. nella parte in cui richiama esplicitamente la “prova della non verità della data” . Pertanto, come detto, non può dubitarsi circa l’attribuzione dell’onere della prova in capo a chi intenda contestarla. Invero, non si troverebbe ragione, in assenza di altra prescrizione, di derogare al principio generale ricavabile dall’art. 2697 c.c., a mente del quale “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.