Con sentenza n. 2747 del 20 ottobre 2017, il Tribunale di Milano (sezione Lavoro) ha escluso che il diritto del dipendente a fruire del permesso per svolgere attività di natura sindacale all’esterno del luogo di lavoro possa definirsi pieno ed incondizionato al punto da negare qualsivoglia esercizio del potere di controllo da parte del datore di lavoro.

Nella controversia in oggetto, un lavoratore impugnava il licenziamento per giusta causa comminatogli sostenendo l’illegittimità dell’attività posta in essere dal titolare che, rivolgendosi ad un’agenzia di investigazione privata, aveva riscontrato dalle risultanze della relativa attività come il soggetto avesse utilizzato parte delle giornate richieste a titolo di permesso per il perseguimento di scopi personali (“recarsi al supermercato e in località di villeggiatura”). A detta del dipendente i report investigativi prodotti avrebbero dovuto considerarsi inutilizzabili, alla luce di una presunta lesione del diritto alla privacy dello stesso e della propria famiglia. Invero, pur non avendo il datore “alcun potere di autorizzazione o meno dell’istituto dei permessi da parte di rappresentanti delle associazioni sindacali”, permarrebbe in capo allo stesso, come argomentato dal giudice di merito, la facoltà di “controllare che” tali  strumenti “vengano utilizzati in conformità con la ratio dell’istituto e non per scopi personali”, da ciò discendendo la piena legittimità della ricerca di prove per il tramite di investigatori privati.

La pronuncia citata si pone in continuità con l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale che consente l’affidamento dell’incarico ad ispettori privati di verificare il rispetto dell’obbligo di fedeltà gravante sul lavoratore. Il datore, in particolare, risulta legittimato a prendere conoscenza dei relativi comportamenti, allorquando questi siano, seppur estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa in senso stretto, in qualche modo “rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni” che derivino dal contratto di lavoro (si veda, a titolo meramente esemplificativo, Cassazione, sentenza n. 3704 del 1987) .

Affinché l’attività dell’agente investigativo possa definirsi lecita questa non può consistere in una effettiva vigilanza dell’attività lavorativa, la quale è riservata, sulla base delle garanzie offerte dalla Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), direttamente al datore nonché a suoi collaboratori. In concreto, è necessario astenersi da una verifica della qualità offerta dalla prestazione del dipendente, ma non allo stesso tempo degli illeciti dallo stesso perpetrati. Secondo la Cassazione, la condotta è legittima ove sussista anche soltanto “il sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione” (si legga, in questo senso, Cassazione, sentenza n. 3590 del 2011).

I principi sopra enunciati si prestano a venire in rilievo, oltre all’ipotesi del permesso per attività sindacale, in tutte le circostanze per le quali il lavoratore si ritrovi al di fuori del contesto lavorativo, ma in orari retribuiti. E’ il caso, in particolare, del congedo per malattia. In tale periodo, infatti, è consentito al datore di avvalersi, tra gli altri, dello strumento dell’investigazione privata per accertarsi dell’utilizzo non fraudolento dell’istituto ovvero verificare che il soggetto in malattia non ponga in essere condotte idonee a pregiudicare la guarigione, discendendo da simili eventuali comportamenti una chiara violazione dell’obbligo di fedeltà (cfr., tra le altre, Cassazione, sentenza n. 17723 del 2017, sentenza n. 18507 del 2016, sentenza n. 17113 del 2016). Rispetto all’attività di controllo del medico fiscale, appare indubbio che all’investigatore non sia concesso di violare la dimora privata del dipendente, tuttavia allo stesso può essere demandato il compito di integrare gli accertamenti del medico, per mezzo di appostamenti che verifichino i reali spostamenti del lavoratore al di fuori degli orari in cui può effettuarsi la visita.

Analogamente, può segnalarsi l’ipotesi in cui il lavoratore goda dei permessi previsti dalla Legge 104/1992, concessi a soggetti con disabilità ovvero, a determinate condizioni, ai parenti degli stessi. Anche durante tali orari l’investigazione può avere luogo al fine di verificarne la corretta fruizione, con lo svolgimento di un’effettiva attività di assistenza e non anche per il perseguimento di scopi a carattere personale. In questo senso, giova richiamare la pronuncia della Cassazione n. 9746 del 2016, per mezzo della quale la Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento di un prestatore che, usufruendo dei permessi ex art. 33 della L. 104 in virtù della disabilità della suocera, veniva sorpreso da un detective privato nello svolgimento di mansioni all’interno di terreni di sua proprietà.

Richiamando, in conclusione, il profilo probatorio, va rilevato come la giurisprudenza sia concorde nel negare valore di prova alla relazione scritta effettuata dall’investigatore, rendendosi conseguentemente necessario acquisire le risultanze dell’attività di monitoraggio in giudizio per mezzo della prova testimoniale ovvero della produzione di eventuali documentazioni fotografiche.

Avv. Monica Lambrou

Contributo pubblicato sul sito di “VARIAZIONI SU TEMI DI DIRITTO DEL LAVORO” di GIAPPICHELLI EDITORE