Considerato il largo utilizzo, a partire dagli anni Settanta, del contratto di leasing finanziario (o locazione finanziaria) da parte di imprese e consumatori, il legislatore è intervenuto per la prima volta, con la Legge per il mercato e la concorrenza n. 124/2017 del 4 agosto 2017, ad introdurne una definizione, nonché una disciplina, finalmente compiuta.
Tale fattispecie contrattuale finisce, così, per uscire dall’area dei c.d. contratti atipici, alla luce dell’assenza della stessa tra le figure tipiche del Codice civile, in favore di un’espressa previsione legislativa atta a regolarne, in particolar modo, gli effetti e le conseguenze della risoluzione per inadempimento. Relativamente a simili aspetti, infatti, il vuoto normativo era stato negli anni colmato dall’interpretazione della dottrina e, in particolare, della giurisprudenza, alla quale si deve l’elaborazione concettuale che ha distinto, all’interno della fattispecie di leasing finanziario, il c.d. leasing di godimento e il c.d. leasing traslativo. La prima tipologia veniva ricondotta nell’ambito dell’art. 1458 c.c., come “contratto ad esecuzione continuata o periodica”, mentre il leasing traslativo nell’ambito della “vendita rateale con riserva della proprietà”.
Con la novella legislativa, all’art. 1 comma 136, la locazione finanziaria viene definita, recependo parte delle interpretazioni della giurisprudenza, come il contratto “con il quale la banca o l’intermediario finanziario” si obbliga “ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore” e lo “fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto”. Alla scadenza del contratto di leasing è diritto dell’utilizzatore “acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito”, restando salvo in caso contrario l’obbligo di restituirlo. Emerge, ad una prima lettura, come tale disciplina risulti applicabile a qualsiasi tipologia di bene, sia immobile che mobile, risolvendo così alcuni dei contrasti interpretativi che avevano riguardato l’oggetto del contratto.
Analogamente a quanto previsto con riferimento al canone di locazione abitativa, al comma 137 la legge determina il grave inadempimento a cui far conseguire la risoluzione del contratto, prescrivendo che lo stesso possa essere costituito “dal mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali”, per ciò che concerne i leasing immobiliari, e “dal mancato pagamento di quattro canoni mensili” per tutte le altre tipologie.
La disposizione senza dubbio più attesa dai commentatori riguarda le conseguenze della risoluzione per grave inadempimento. Infatti, all’interno delle clausole contrattuali e nel silenzio della legge, spesso veniva prevista la necessità della corresponsione del mancato guadagno pari al totale dei canoni non ancora versati fino alla scadenza, a cui aggiungere interessi e mora. Con il comma 138 si specifica che è diritto del concedente ottenere la restituzione del bene, con conseguente riconoscimento all’utilizzatore di “quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotta la somma pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati” fino alla risoluzione e dei canoni a scadere, oltre alle “spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita”. Rimane, in ogni caso, salva la possibilità per il concedente di vedere riconosciuto il proprio diritto di credito per le somme residue, qualora il valore di vendita del bene risulti inferiore all’importo dovuto dall’utilizzatore. Con riferimento a tale entità, a norma del comma 139, il concedente è chiamato a basarsi sui “valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati” e, in caso di impossibilità, sulle stime effettuate da un perito scelto di comune accordo dalle due parti ovvero indipendente, individuato sulla base di un’apposita procedura descritta dalla stessa legge.
Continueranno a trovare applicazione, così come specificato dal comma 140 della L. 124/2017, l’art. 72-quater del Regio Decreto n. 267/1942 del 16 marzo 1942 (Legge Fallimentare), che disciplina l’eventuale fallimento dell’utilizzatore e gli effetti sul contratto di leasing, nonché l’art. 1 della Legge n. 208/2015 del 28 dicembre 2015, con riferimento alla disciplina del leasing finanziario relativo a beni immobili che vengano adibiti ad abitazione principale. In particolare, va rilevato come nella prima ipotesi il concedente abbia diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza tra il relativo credito, calcolato alla data del fallimento, e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene. In virtù dell’art. 1 della L. 208/2015, invece, può notarsi come le persone fisiche che scelgano il leasing immobiliare per l’abitazione principale, godano di una serie di agevolazioni di natura fiscale.
La prevalente dottrina civilistica sembra aver accolto con un certo favore la nuova disciplina, alla luce della definitiva risoluzione di taluni dubbi interpretativi. In particolare, la definizione puntuale, offerta dalla L. 124/2017, relativa al “grave inadempimento” parrebbe rivelarsi al quanto garantista nei confronti dell’utilizzatore. Limitando, infatti, parzialmente l’autonomia negoziale delle parti nella stipula del contratto che, nel silenzio della legge, aveva permesso alle società di leasing di quantificare anche numericamente la gravità o meno dell’inadempimento, la previsione normativa di cui al comma 137 è idonea a porre l’utilizzatore al riparo da eventuali modifiche in peius rispetto a quanto disposto.
Ciò nonostante, per ragioni di sistematicità dell’ordinamento giuridico, non si vede ragione che giustifichi la scelta di “tipizzare” tale figura contrattuale al di fuori del Codice civile.