Da ormai qualche decennio a questa parte, una rilevante percentuale di giovani e meno giovani sceglie di proseguire la propria carriera didattica o professionale all’estero. In questi casi, i più lungimiranti – o, semplicemente, coloro i quali abbiano già a che fare con necessità di questo tipo – sanno di dover preparare un piano di previdenza particolare, soprattutto se hanno in previsione di tornare a vivere in Italia.

In questi casi, si parla spesso anche di “totalizzazione dei contributi”, prevista solo recentemente a livello normativo. Si tratta di un istituto che consente l’acquisizione del diritto ad un’unica pensione di vecchiaia, di anzianità o ai superstiti per i lavoratori che, nel corso della loro vita lavorativa, abbiano versato contributi in diverse casse, gestioni o fondi previdenziali e che, pertanto, rischiano di non riuscire ad utilizzare interamente la contribuzione versata a fini previdenziali e/o pensionistici.

Alla totalizzazione sono particolarmente interessati i lavoratori parasubordinati (co.co.co., lavoratori a progetto, ecc.), iscritti alla cosiddetta “gestione separata”, i cui contributi non possono essere ricongiunti ad altra cassa o fondo di previdenza.

Naturalmente, in connessione con quanto detto in apertura, ciò vale anche per chi abbia maturato la propria contribuzione anche all’estero, in un Paese europeo: di ciò ci si occuperà nel prosieguo della presente trattazione.

La totalizzazione nei Paesi extraeuropei

Laddove parte o anche l’interezza della propria vita lavorativa si sia svolta in un Paese extraeuropeo, la disciplina di riferimento per usufruire dell’istituto della totalizzazione sarà quella stabilita in sede di specifica convenzione bilaterale con l’Italia. Ad oggi, il nostro Paese ne ha stipulate diverse; a titolo esemplificativo e non esaustivo, si ricordano quelle con l’Argentina, l’Australia, il Brasile, il Canada, Israele, il Messico, gli USA, l’Uruguay, il Vaticano. Tra i Paesi legati da convenzioni bilaterali esistono due tipi di totalizzazione dei contributi:

  • semplice, in forza della quale si prendono in considerazione i periodi assicurativi dei due paesi contraenti la convenzione (se, in base alla convenzione stipulata, sono stati versati contributi a sufficienza per l’ottenimento di un trattamento pensionistico, allora il lavoratore percepirà una pensione pro-rata erogata da ciascun paese contraente;
  • multipla, in base alla quale gli accordi bilaterali di riferimento prevedono il coinvolgimento nel processo di totalizzazione dei periodi assicurativi di un terzo paese che abbia stipulato accordi di sicurezza sociale con almeno uno dei due Stati contraenti.

La totalizzazione secondo il regime europeo e italiano

La possibilità di aggregazione dei contributi per la pensione maturati e versati all’estero ai fini di una pensione italiana varia, come si è già anticipato, in base ai Paesi in cui la maturazione degli stessi è avvenuta.

In ambito europeo, la normativa di riferimento dal 1° maggio 2010 è costituta dal Regolamento n. 883 del 29 aprile 2004, nonché dal conseguente Regolamento di attuazione n. 987/2009 del 16 settembre 2009. Detta normativa viene applicata non solo sul territorio dei 27 Stati membri dell’Unione europea, ma anche in Svizzera e nei tre Paesi che hanno aderito all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (ASEE), e cioè l’Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia. Essi prevedono che sia necessario presentare una apposita domanda all’ultimo ente previdenziale di riferimento, il quale provvederà a calcolare la pensione pro rata in base alle regole delle singole gestioni. Se il Paese in cui si fa la richiesta non ha alcuna convenzione con l’Italia (e, dunque, non c’è un modo prestabilito per entrare in contatto con l’ente italiano incaricato di tale attività, che di norma è l’Inps per i lavoratori dipendenti e certe categorie di liberi professionisti), allora il richiedente dovrà provvedere con una ulteriore domanda c.d. di riscatto presso l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Quest’ultimo caso, tuttavia, risulta estremamente costoso al richiedente, il quale ha peraltro l’onere di doversi accollare tutte le spese a ciò conseguenti.

Il Trattato sull’Unione Europea (TUE) in generale, infatti, garantisce i diritti di sicurezza sociale ai cittadini comunitari migranti e stabilisce l’abolizione di qualsiasi discriminazione in tema di nazionalità nella retribuzione e nelle altre condizioni di lavoro, in omaggio al principio di libera circolazione dei lavoratori. In particolare, la normativa comunitaria, assicura a coloro che si spostano all’interno della Comunità, nonché ai rispettivi aventi dritto e ai loro superstiti:

  • la parità di trattamento, in base alla quale ciascuno Stato è tenuto a garantire ai cittadini degli altri Stati membri lo stesso trattamento e gli stessi benefici riservati ai propri cittadini;
  • il mantenimento dei diritti e dei vantaggi acquisiti e la possibilità di ottenere il pagamento delle prestazioni nel Paese di residenza anche se a carico di un altro Stato (esportabilità della prestazione); la totalizzazione dei periodi di assicurazione e contribuzione, grazie alla quale i periodi maturati nei vari Stati si cumulano, nel rispetto e nei limiti delle singole legislazioni nazionali, per consentire il perfezionamento dei requisiti richiesti per il diritto alle prestazioni.

In questi casi, la contribuzione estera viene presa in considerazione per verificare i requisiti richiesti per il diritto, come se fosse contribuzione versata in Italia. L’importo della pensione, invece, viene calcolato in proporzione ai contributi accreditati nell’assicurazione italiana, secondo il sistema di calcolo definito, come si è già indicato ai paragrafi precedenti, “pro rata”. Così, allo stesso modo, le istituzioni competenti degli Stati esteri determineranno il diritto alle prestazioni a loro carico, eventualmente tenendo altresì in considerazione la contribuzione già accreditata in Italia.

La normativa europea di cui in argomento, tuttavia, non crea un effettivo sistema previdenziale europeo “parallelo”, ma si limita a coordinare le normative dei vari sistemi previdenziali nazionali.

I periodi di lavoro in ambito comunitario son valorizzati ai fini pensionistici mediante l’istituto della totalizzazione dei contributi che non prevede oneri a carico dell’assicurato e non comporta il trasferimento dei contributi da un Paese ad un altro.

La totalizzazione consente di sommare i periodi assicurativi non coincidenti maturati nei vari Stati ai fini del raggiungimento dei requisiti contributivi previsti per il diritto a pensione secondo la legislazione di ciascuno Stato (art. 51 Reg. CE n. 883/2004).

I contributi utili ai fini della totalizzazione sono quelli obbligatori, figurativi (servizio militare, disoccupazione, ecc.), da riscatto e da contribuzione volontaria.

Il diritto a pensione viene accertato in ciascun Paese sommando i periodi contributivi (italiani ed esteri). Se la contribuzione di uno Stato è sufficiente da sola per dar luogo autonomamente alla pensione, il lavoratore può ottenerla senza ricorrere alla totalizzazione dei periodi di lavoro svolti in altro Stato. Ciò significa che è possibile che la totalizzazione non operi in un Paese ed operi invece nel Paese in cui sia necessaria per il conseguimento dei requisiti (totalizzazione unilaterale).

Per quanto riguarda i periodi inferiori ad un anno la totalizzazione è ammessa a condizione che il lavoratore possa far valere un periodo minimo di assicurazione e contribuzione di 12 mesi in ciascuno Stato (art. 57 Reg. CE n. 883/2004). La normativa comunitaria prevede comunque che i contributi inferiori al periodo minimo necessario per la totalizzazione siano utilizzati dagli altri Stati membri che possono far valere almeno un anno di assicurazione.

Di conseguenza, le istituzioni degli altri Stati membri presso le quali l’interessato può far valere almeno un anno di assicurazione devono prendere in considerazione tali periodi di assicurazione per accertare il raggiungimento del diritto a prestazione in virtù della legislazione che ognuna di esse applica.

I periodi esteri sono presi in considerazione esclusivamente ai fini dell’accertamento del diritto a pensione. L’importo della prestazione è determinato (art. 52 Reg. CE n. 883/2004) secondo il metodo ordinario, se sono soddisfatte le condizioni minime previste dalla normativa nazionale (pensione autonoma); oppure in base al metodo del pro-rata se non sono soddisfatte le condizioni minime previste dalla normativa nazionale. In tal caso ciascuno degli Stati interessati determina l’importo della prestazione a proprio carico in misura proporzionale ai periodi di assicurazione fatti valere ai sensi della propria legislazione. Ciascuno Stato membro, a mezzo delle proprie istituzioni previdenziali, provvede al pagamento diretto della rispettiva quota di pensione maturata sul proprio territorio.

La domanda di pensione deve essere inoltrata dall’assicurato o dal superstite avente diritto all’Istituzione competente dello Stato in cui risiede e di ultima iscrizione.

All’atto del collocamento a riposo, l’ente previdenziale competente in Italia provvederà a definire la pensione italiana in regime internazionale; avviare il collegamento con il competente istituto previdenziale estero per permettere ad esso di completare l’istruttoria.

La totalizzazione europea si applica a tutti i trattamenti pensionistici diretti e indiretti erogati dagli Stati membri in base alla normativa nazionale.

Gli iscritti a determinati tipi di gestioni, possono cumulare i periodi lavorativi italiani ed esteri per il conseguimento dei trattamenti relativi alla pensione di vecchiaia unificata anticipata, ordinaria e posticipata al raggiungimento dei requisiti previsti dal Regolamento Generale di Previdenza; pensione di anzianità, ove applicabile in base alla disciplina transitoria; pensione contributiva, ove applicabile in base alla disciplina transitoria; pensione di invalidità e di inabilità; pensione indiretta e di reversibilità ai superstiti.

L’orientamento giurisprudenziale italiano

Recentemente, la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione si è espressa sul tema per tramite della sentenza n. 16721/2020. Nel caso di specie, un dipendente italiano presso la European Space Agency (ESA) aveva acceso posizioni contributive non solo nel suo paese ma anche attraverso il sistema pensionistico della Agenzia europea per cui lavorava e con la quale l’Inps non aveva stabilito alcuna convenzione. Questi, richiedeva tuttavia il trasferimento dei contributi così maturati e versati presso l’ESA e in forza dei quali, soli, avrebbe avuto diritto alla pensione di anzianità che l’Agenzia stessa erogava. È opportuno segnalare che nel caso che qui interessa i contributi richiesti riguardavano una pensione di anzianità e non di vecchiaia; il lavoratore, inoltre, aveva già conseguito la pensione autonoma a carico dell’ente internazionale, nonché maturato un’anzianità contributiva presso l’Inps di oltre 20 anni. Il motivo per cui tale scenario diveniva problematico riguardava il fatto che in esso mancasse il presupposto del rischio di sterilizzazione della contribuzione versata, ratio della totalizzazione. La fattispecie in esame non rientra infatti nell’ambito di applicazione della totalizzazione europea, giacché la stessa era rivendicata al fine non di ottenere il diritto a pensione, ma di incrementare una pensione anticipata già ottenuta in via autonoma. Nonostante ciò, la sentenza resa relativamente al caso in esame risulta particolarmente rilevante allorché chiarisce alcuni elementi relativi all’istituto oggetto della presente trattazione, offrendo un quadro più dettagliato aderente all’interpretazione della giurisprudenza più di rilievo.

I profili problematici derivanti dalla limitazione dell’ambito di applicazione dell’art. 2 Regolamento n. 883/2004 ai soggetti ai quali si applica la legislazione di uno o più Stati membri, nonché dalla circostanza che l’ESA non è istituzione Europea e che non esiste una convenzione tra Unione Europea ed ESA, che avrebbero potuto giustificare l’inapplicabilità alla fattispecie della normativa Europea in materia di totalizzazione, sono stati risolti e superati da ultimo dalla sentenza della Corte giustizia UE sez. V, 4 luglio 2013, n. 233, di cui la sentenza impugnata ha fatto piena applicazione. Una parte della sentenza appena citata viene riportata Tale sentenza, infatti, ha ricordato che per giurisprudenza costante, “(…) il cittadino dell’Unione che usufruisca del diritto alla libera circolazione dei lavoratori e abbia esercitato un’attività lavorativa in uno Stato membro diverso da quello di cui è originario, indipendentemente dal luogo di residenza e dalla cittadinanza, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 45 TFUE. Il cittadino dell’Unione che lavori in uno Stato membro diverso dal suo Stato d’origine e che abbia accettato un impiego in un’organizzazione internazionale rientra anch’esso nell’ambito di applicazione di tale disposizione (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2006, Oberg, C-185/04, Racc. pag. 1-1453, punti 11 e 12 nonché la giurisprudenza citata)”. Il riconoscimento della qualità di lavoratore ai fini dell’ambito di applicazione dell’art. 45 TFUE (il quale recita che “Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. 2. La libertà di circolazione e di soggiorno può essere accordata, conformemente ai trattati, ai cittadini dei paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro”), nonché della disciplina regolamentare a tale qualità connessa, tuttavia non è sufficiente a giustificare l’accoglimento della pretesa.

Al fine di sottolineare tale punto, la stessa giurisprudenza della CGUE (CGUE Sez. VIII 5 dicembre 2019 n. 398) ha chiarito che né il TFUE né i regolamenti numeri 1408/1971 e 883/2004 hanno previsto né prevedono norme concernenti il trasferimento del capitale che rappresenta i diritti a pensione già maturati, ma prevedono il principio della totalizzazione dei periodi, come emerge dall’art. 48 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea in attuazione di detti regolamenti.

Inoltre, la medesima pronuncia ha altresì chiarito l’ambito di applicazione dell’art. 6 del Regolamento n. 883/2004, rubricato “Totalizzazione dei periodi”, il quale recita che “fatte salve disposizioni contrarie del presente regolamento, l’istituzione competente di uno Stato membro, la cui legislazione subordina: – l’acquisizione, il mantenimento, la durata o il recupero del diritto alle prestazioni, – l’ammissione al beneficio di una legislazione, o – l’accesso all’assicurazione obbligatoria, facoltativa continuata o volontaria o l’esenzione della medesima, al maturare di periodi d’assicurazione, di occupazione, di attività lavorativa autonoma o di residenza tiene conto, nella misura necessaria, dei periodi di assicurazione, di occupazione, di attività lavorativa autonoma o di residenza maturati sotto la legislazione di ogni altro Stato membro, come se si trattasse di periodi maturati sotto la legislazione che essa applica”. Esso, pertanto, prevede che ai fini della determinazione dell’acquisizione del diritto alle prestazioni di sicurezza sociale, ciascuno Stato membro debba tenere conto dei periodi di assicurazione, di occupazione, di attività lavorativa autonoma o di residenza maturati sotto la legislazione di altri Stati membri.

La fattispecie qui in esame non rientra nell’ambito di applicazione della totalizzazione europea, giacché la stessa è rivendicata al fine non di ottenere il diritto a pensione, ma di incrementare una pensione anticipata già ottenuta in via autonoma. Resta, dunque, da verificare se il diritto ad ottenere il pro rata italiano debba derivare dall’applicazione dell’art. 45 TFUE, al fine di evitare la discriminazione ai danni del contro ricorrente. Tale esigenza era quella emersa nella fattispecie esaminata dalla sentenza Corte di Giustizia dell’Unione Europea c.d. “Gardella”, la quale ha indotto la Corte a ritenere che l’art. 45 TFUE e l’art. 6 Reg. n. 883/2004 impediscano il pregiudizio derivante alle persone che abbiano esercitato il diritto alla libera circolazione, i cui periodi di lavoro o di contribuzione non raggiungono il periodo minimo richiesto dalla legislazione nazionale per conferire il diritto alla pensione e perdano la possibilità di beneficiare di una prestazione di vecchiaia alla quale esse avrebbero avuto diritto se non avessero accettato un impiego, in un altro Stato membro, presso un’organizzazione internazionale.

La fattispecie sottesa al rinvio pregiudiziale era, infatti, quella del funzionario dell’Ufficio Europeo dei Brevetti che aveva chiesto all’Inps di trasferire al regime previdenziale dell’UEB il capitale che rappresenta i diritti a pensione da lui maturati durante i periodi di lavoro in Italia al fine di ottenere la pensione altrimenti non ottenibile. Infatti, “secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia (vd. CGUE sez. I, 21/01/2016, n. 515), se è vero che gli Stati membri conservano la loro competenza a disciplinare i loro sistemi di previdenza sociale, nell’esercizio di tale competenza devono tuttavia rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei lavoratori e al diritto di stabilimento”. L’insieme delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle persone mira a facilitare ai cittadini dell’Unione l’esercizio di attività lavorative di qualsivoglia natura nel territorio dell’Unione ed osta ai provvedimenti che potrebbero sfavorirli qualora intendano svolgere un’attività economica nel territorio di un altro Stato membro. I cittadini degli Stati membri dispongono, in particolare, del diritto, conferito loro direttamente dal Trattato, di lasciare il paese d’origine per entrare nel territorio di un altro Stato membro ed ivi soggiornare al fine di esercitare un’attività economica (v., segnatamente, sentenze Bosman, C-415/93, EU:C:1995:463, punti 94 e 95, Ritter-Coulais, C-152/03, EU:C:2006:123, punto 33; Governo della Comunità francese e Governo vallone, C-212/06, EU:C:2008:178, punto 44; Casteels, C-379/09, EU:C:2011:131, punto 21, nonché Las, C202/11, EU:C:2013:239, punto 19).

Il ragionamento proposto dalla Corte è particolarmente interessante e, nella sua logicità, merita di essere riportato fedelmente. Sul punto, dunque, si legge che “si è affermato che il diritto primario dell’Unione non può garantire ad un assicurato che il trasferimento in un altro Stato membro resti neutrale in materia previdenziale, ma ove tale trasferimento, in considerazione delle disparità tra i regimi e le normative degli Stati membri, risulti meno favorevole per l’interessato sotto il profilo previdenziale, una normativa nazionale è conforme al diritto dell’Unione solo se la stessa non svantaggi il lavoratore interessato rispetto a quelli che svolgono l’insieme delle loro attività nello Stato membro in cui essa si applichi e non si risolva nel fatto puro e semplice di versare contributi previdenziali a fondo perdut o (v.sentenza Mulders, C-548/11, EU C.2013.249, punto 45 e giurisprudenza ivi richiamata).

Nel caso di specie, tale effetto sfavorevole ai danni del contro ricorrente non si è determinato, giacché, come osservato dall’Inps, la contribuzione versata in Italia (pari a venti anni e nove mesi), al compimento del sessantaseiesimo anno, ha determinato autonomamente l’insorgere del diritto alla pensione di vecchiaia in applicazione della L. n. 214 del 2011, art. 24, commi 6 e 7. In altri termini” prosegue la Suprema Corte “la peculiare situazione previdenziale del contro ricorrente e, in particolare, la circostanza che lo stesso ha lasciato la propria occupazione in Italia per spostarla presso altro Stato dell’Unione, non gli ha procurato l’impossibilità di ottenere un trattamento pensionistico di vecchiaia, né ha fatto sì che i contributi versati in Italia restassero a fondo perduto; dunque, non si è verificata la situazione di discriminazione indiretta contro la quale opera il disposto dell’art. 45 TFUE”.

Infine, la Suprema Corte rilancia con un riferimento alla recente normativa italiana, citando la legge n. 115/2015 la quale, ricorda la stessa Corte, fu adottata a seguito della procedura di infrazione n. 2014/4168 (aperta dalla Commissione Europea sulla applicazione della ben nota sentenza Gardella). Essa, seppur non consenta una incondizionata facoltà di cumulo della contribuzione italiana con quella versata presso le organizzazioni internazionali, fa tuttavia in modo che tale cumulo si verifichi laddove esso si renda necessario al fine di ottenere la pensione di vecchiaia, di invalidità e superstiti.

CONTRIBUTO PUBBLICATO SU DIRITTO&PRATICA DEL LAVORO