La legge n. 604/1966 (norme sui licenziamenti individuali) pone un limite alla facoltà del datore di lavoro di licenziare i propri dipendenti. La normativa giuslavoristica prevede per il datore di lavoro l’obbligo di motivare il proprio recesso. La libertà di licenziamento è sottoposta a limitazioni poiché il lavoratore è ritenuto la parte debole del contratto di lavoro.

Presupposti del licenziamento

Le limitazioni interessano sia il piano sostanziale, che quello formale e il licenziamento potrà avvenire soltanto in presenza di alcuni presupposti.

In riferimento alla forma, possiamo in questa sede, limitarci a dire che è richiesta la forma scritta, e il rispetto di una particolare procedura di comunicazione (la validità del licenziamento è subordinata al rispetto di determinate forme e procedure), invece, relativamente ai presupposti sostanziali, il licenziamento deve fondarsi su una valida motivazione. Si parla a tal proposito di “giustificato motivo” (oggettivo o soggettivo) e di “giusta causa”.

Sinteticamente, nella definizione di “giusta causa” rientrano tutti quei fatti di gravità oggettiva, tali da compromettere il rapporto di fiducia tra dipendente e datore di lavoro. La giusta causa sussiste nel caso in cui al lavoratore sia imputabile una trasgressione o un inadempimento degli obblighi relativi alla prestazione lavorativa così grave da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro. In tale circostanza il licenziamento sarà immediato, non essendo previsto un obbligo di preavviso.

Quando si parla di “giustificato motivo”, va fatta un’ulteriore distinzione:

  • licenziamento per giustificato motivo soggettivo, che si configura qualora la condotta del lavoratore costituisca un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, integrando l’ipotesi di licenziamento disciplinare. Il datore di lavoro dovrà rispettare il periodo di preavviso previsto dalla contrattazione collettiva in merito allo specifico rapporto di lavoro. La ratio dell’obbligo di preavviso va ricercata nella configurazione in termini qualitativi della gravità dell’inadempimento da parte del lavoratore. La gravità richiesta in questo senso deve essere tale da porsi nel mezzo tra la notevole gravità che caratterizza la giusta causa di licenziamento ed una minore gravità di inadempimento determinante la mera applicazione di sanzioni disciplinari. Deve trattarsi quindi di una condotta grave, ma non al punto da impedire la prosecuzione, in via temporanea, del rapporto di lavoro;
  • licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che ricomprende tutti i casi in cui la parte datoriale può legittimamente licenziare il lavoratore, qualora ciò si renda necessario per ragioni riguardanti l’attività produttiva, il suo regolare funzionamento e l’organizzazione del lavoro. Anche in questo caso deve essere rispettato il periodo di preavviso di riferimento.

Se il datore di lavoro non rispetta il preavviso, dovrà corrispondere l’indennità di mancato preavviso al dipendente (calcolato considerando il periodo di preavviso come se fosse stato lavorato).

Qualora il provvedimento manchi di una giusta causa o di un giustificato motivo (oggettivo o soggettivo) si configura il licenziamento illegittimo e la legge appresta diverse forme di tutela al lavoratore: una tutela obbligatoria ed una tutela reale, che si alternano o sovrappongono in base a molteplici presupposti che rilevano in riferimento allo specifico caso.

Nozione di “giustificatezza”

La disciplina del licenziamento dei dirigenti è prevista dagli artt. 2118 e 2119 c.c., oltre che dalla contrattazione collettiva. Tutti i contratti collettivi impongono che il licenziamento del dirigente debba essere comunque giustificato. La normativa prevede una più estesa possibilità di cessazione del rapporto lavorativo su iniziativa del datore di lavoro, rispetto a quella relativa ai lavoratori subordinati, ma è comunque necessario il rispetto delle regole formali di trasparenza e correttezza.

In base all’art. 2095 c.c. il dirigente può essere definito come quel soggetto che ricopre una posizione apicale nell’azienda di riferimento in cui opera, ed è titolare di un ampio potere di determinazione delle scelte operative e organizzative, in condizione di sostanziale autonomia. Può quindi essere definito un alter ego dell’imprenditore. Proprio facendo riferimento al particolare ruolo ricoperto all’interno dell’azienda, si può dedurre il rafforzato rapporto fiduciario che lo lega al datore di lavoro. Vien da sé che maggiore è la fiducia che lega le due figure, maggiori saranno le ipotesi e i comportamenti in grado di comprometterla. Difatti sono individuabili possibili lesioni anche per fatti che, più in generale non comporterebbero il recesso datoriale nei confronti degli altri lavoratori dipendenti. Nel caso dei dirigenti si parla di “giustificatezza” del licenziamento.

La nozione di giustificatezza è di elaborazione giurisprudenziale, ma già negli anni ’70 è possibile riscontrare i primi riferimenti a tale concetto, nell’ambito della contrattazione collettiva di categoria, intervenuta per colmare il vuoto di tutela legale per i dirigenti e ad integrazione della disciplina del Codice civile. È quindi alla contrattazione collettiva che in un certo senso va riconosciuto il merito di aver introdotto limitazioni alla libertà di recesso datoriale: prevedendo da un lato un obbligo di giustificazione del licenziamento dirigenziale e dall’altro riconoscendo in capo al dirigente il diritto al risarcimento del danno nel caso manchi tale giustificazione (ovvero la c.d. “indennità supplementare”). È stata tuttavia la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, che ha interpretato il concetto di giustificatezza riconoscendogli autonomia e svincolandolo dalle nozioni di giusta causa e di giustificato motivo di licenziamento. Rispetto a tali nozioni, il concetto di giustificatezza è sicuramente più ampio, consente quindi una maggiore libertà di recedere.

La giurisprudenza ha inoltre sostenuto la derivazione negoziale del concetto di giustificatezza, pertanto, è da interpretarsi alla luce dei principi generali in materia contrattuale di buona fede e correttezza, sanciti dall’art. 1375 c.c.

Difatti, il fondamento della giustificatezza va ricercato proprio nel concetto di buona fede e nel particolare rapporto di fiducia che si instaura tra dirigente e datore di lavoro, andando ben oltre il concetto di fiducia, come intesa e richiesta al lavoratore dipendente nell’ambito dei rapporti di lavoro ordinari, e superando altresì il generico riferimento all’inadempimento contrattuale. La ratio va ricercata nella particolare vicinanza dei dirigenti alla posizione del datore di lavoro. Tale vicinanza attribuisce maggiore intensità e rilevanza al vincolo fiduciario che lega il datore di lavoro al dirigente.

Cosa si intende, nello specifico, per “giustificatezza” del licenziamento?

La giustificatezza è un criterio più ampio della giusta causa ex art. 2119 c.c., che si sovrappone a quest’ultima, assorbendola. Rispetto alla giusta causa, la giustificatezza si caratterizza per una maggiore importanza riconosciuta al carattere fiduciario su cui si fonda il rapporto di lavoro dirigenziale ed obbliga il datore di lavoro all’osservanza dei principi generali di correttezza e buona fede. Non è privo di risvolti pratici inquadrare la motivazione posta alla base del licenziamento del dirigente nell’ambito della giusta causa o della giustificatezza. Solo la giusta causa legittima il licenziamento senza obbligo di preavviso a carico del datore di lavoro. Ai fini della giustificatezza, invece, non è richiesta una violazione grave ed irrimediabile come nell’ipotesi del licenziamento per giusta causa, ma qualsiasi comportamento in grado di compromettere il vincolo fiduciario. Essa non è rappresentata esclusivamente da comportamenti costituenti gravi inadempimenti contrattuali, ma può essere integrata anche da condotte esterne all’ambiente di lavoro, ma in grado di compromettere la fiducia datoriale. Infatti, in tal senso ci sono state diverse pronunce della Corte di Cassazione, che hanno ritenuto legittimi i licenziamenti di dirigenti, motivati dalla inadeguatezza del soggetto rispetto alle aspettative del datore di lavoro riconoscibili ex ante, o facendo riferimento a comportamenti extra lavorativi che incidano sull’immagine aziendale.

Licenziamento disciplinare e conseguenze dell’assenza di giustificatezza

Quando il licenziamento irrogato al dirigente ha natura disciplinare, si applicano le garanzie ex art. 7 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970).

Nei confronti del dirigente, trova applicazione la medesima procedura prevista in caso di licenziamento disciplinare del lavoratore, pertanto, gli deve essere riconosciuta la possibilità di contestare quanto addebitatogli dal datore di lavoro.

In particolare, il fatto deve essere contestato al dirigente in modo specifico ed immediato, inoltre la comunicazione va fatta per iscritto. Dalla contestazione è previsto un termine di cinque giorni, entro cui il dirigente può presentare giustificazioni. Solo successivamente potrà essere irrogato il provvedimento disciplinare (nel caso trattato, il licenziamento).

Le giustificazioni date dal dirigente, si intendono accettate se il datore non eroga la sanzione del licenziamento entro dieci giorni dalla presentazione delle stesse o nel diverso termine eventualmente previsto dalla contrattazione collettiva di riferimento.

Contrariamente, nel caso in cui il datore disponga il licenziamento, al dirigente è concesso un termine di sessanta giorni – decorrente dal ricevimento della comunicazione contenente le motivazioni – per impugnarlo.

È previsto un ulteriore termine di centottanta giorni per agire giudizialmente ed impugnare il licenziamento presso il Tribunale competente. Qualora il datore di lavoro disponga il licenziamento non rispettando la procedura di garanzia, si considererà leso il principio del contraddittorio, di conseguenza il licenziamento sarà privo di giustificazione e il datore di lavoro sarà obbligato a corrispondere al dirigente sia l’indennità sostitutiva del preavviso, che l’indennità supplementare.

Laddove il dirigente ritenga che il datore di lavoro abbia esercitato arbitrariamente il proprio potere di licenziamento, realizzando un licenziamento privo del requisito della giustificatezza, potrà rivolgersi al Collegio di Conciliazione e Arbitrato o al Giudice del Lavoro per ottenere tutela.

Una volta accertata l’assenza di condotte integranti la fattispecie della giustificatezza, il dirigente avrà diritto a percepire l’indennità supplementare delle spettanze contrattuali di fine lavoro, come disciplinata nel Ccnl di riferimento, oltre che l’indennità di preavviso.

Relativamente all’indennità supplementare, va fatta una breve precisazione. Si tratta di n’indennità risarcitoria – potremmo dire convenzionalmente predeterminata entro un range di riferimento – che prescinde dalla prova di aver subito un danno in conseguenza del licenziamento e la cui misura è fissata dalla contrattazione collettiva di settore tra un minimo e un massimo che varia da contratto a contratto. La determinazione della misura esatta – entro i confini dettati dalla contrattazione collettiva – è rimessa alla discrezionalità del Giudice di merito, che a tal fine dovrà valutare una serie di circostanze, in particolare: la durata del rapporto di lavoro, la condotta delle parti, l’età anagrafica del dirigente e anche la gravità delle circostanze che hanno portato alla cessazione del rapporto.

Ricostruzione giurisprudenziale della nozione di giustificatezza

Come analizzato nei precedenti paragrafi, la nozione di giustificatezza del licenziamento con riferimento alle figure dirigenziali è assai più ampia rispetto alle fattispecie di giusta causa e giustificato motivo, pertanto, sono molteplici i comportamenti realizzabili dal dirigente atti a costituire motivazione congrua, idonea ad escludere l’arbitrarietà del recesso e a legittimarne il licenziamento sulla base dell’acclarata giustificatezza. È possibile ricostruire una definizione di giustificatezza, intrecciando le parole riportate nelle diverse pronunce della Cassazione, volte a definire i margini comportamentali integrativi della fattispecie in oggetto.

Innanzitutto, la Corte ha sottolineato che tale concetto assume un significato più elastico, oltre che indipendente e autonomo, rispetto alle nozioni di giustificato motivo e di giusta causa, che rappresentano i termini di riferimento nella valutazione della legittimità del licenziamento, come previsto dalla legge.

La massima da cui partire per tracciare le linee guida della nozione di giustificatezza è quella affermata dalla Cassazione con la sentenza 17 marzo 2014, n. 6110:

«Ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente, può rilevare qualsiasi motivo, purché esso possa costituire la base per una motivazione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto, a fronte del quale non è necessaria un’analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale che escluda l’arbitrarietà del licenziamento, in quanto riferito a circostanze idonee a turbare il legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l’ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente».

In una delle varie pronunce sul punto, la Suprema Corte ha affermato che la giustificatezza si qualifica con la «ragionevolezza e serietà del motivo, da accertarsi secondo un equo contemperamento degli interessi contrapposti». Il recesso deve dunque fondarsi su motivazioni giuridicamente apprezzabili e non riconducibile ad una scelta arbitraria o pretestuosa del datore di lavoro.

Con l’ordinanza 17 novembre 2021, n. 34976 la Cassazione, sezione lavoro, ha affermato che nella valutazione ai fini della sussistenza della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, non è necessaria un’analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale che escluda l’arbitrarietà del recesso. Da ultimo, degna di nota è l’ordinanza 26 gennaio 2022, n. 224 della sezione I della Corte di Cassazione, secondo la quale anche in una sola esternazione del dirigente – nel caso di specie per il tramite di una e-mail inviata da quest’ultimo ai vertici aziendali, con la quale esprimeva una serie di perplessità circa i suoi futuri rapporti con il management della Società – è ravvisabile una motivazione integrante la giustificatezza del licenziamento come tale idonea a escludere l’arbitrarietà del recesso.

In buona sostanza, il datore di lavoro, a fronte di eventuali perplessità e critiche del dirigente, non potrà riporre in quest’ultimo la sua massima fiducia. La ratio come ampiamente delineato in precedenza va ricercata nella lesione del particolare vincolo fiduciario esistente tra il datore di lavoro e il dirigente.

Con l’ordinanza in commento, la Cassazione ha dunque affermato la piena legittimità del licenziamento del dirigente per giustificatezza, stabilendo conseguenzialmente che non fosse dovuta l’indennità supplementare prevista dal contratto ma la sola indennità sostitutiva del preavviso.

CONTRIBUTO PUBBLICATO SU DIRITTO & PRATICA DEL LAVORO