Il legislatore italiano ha delegato la gestione della materia del professionismo sportivo alla legge n. 91 del 23 marzo 1981, rubricata “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”. Tale disciplina riconosce gli sportivi professionisti quali parti di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, in cui il datore è identificato nelle varie Federazioni nazionali per cui l’attività sportiva viene prestata.

Ai sensi dell’art. 2 della norma in esame, è uno sportivo professionista chi esercita l’attività sportiva a titolo oneroso e con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal Coni e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse.
In particolare, per quanto riguarda le caratteristiche specifiche del lavoro sportivo, il testo dell’art. 3 della citata legge dispone che “la prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato regolato dalle norme contenute nella presente legge. Essa costituisce, tuttavia, oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti: a) l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; b) l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento; c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno”.
In linea generale, pertanto, si può dire che quello sportivo, tende ad avere gli stessi trattamenti di norma riservati ai lavoratori dipendenti di qualsiasi altro settore. Vi sono però, trattandosi di un ambito molto specifico, delle eccezioni, o comunque delle circostanze specifiche che necessitano di una disciplina ad hoc: in tutti questi casi, entrano in gioco le previsioni di cui alla legge n. 91 del 1981.

Caratteri generali del lavoro sportivo
Così come i contratti di lavoro ordinari, anche quello che abbia ad oggetto delle prestazioni sportive deve adempiere all’obbligo della forma scritta a pena di nullità. La particolarità, però, relativa al peculiare ambito in argomento, prevede che detta forma sia tipica e debba essere conforme a quanto previsto in sede di un accordo tra la federazione sportiva nazionale e i rappresentanti delle categorie interessate, il quale si rinnova ogni tre anni.
Nella forma di cui si è appena detto non è previsto che al rapporto di lavoro così concluso si applichi un termine: ne deriva che l’unica modalità di resa delle prestazioni sportive sia attraverso il lavoro subordinato. A ciò è però apposta un’importante eccezione: il termine eventualmente apposto sarà legittimo se non superiore a cinque anni. Pertanto, nonostante, come si è già detto, il rapporto di lavoro instaurato in forza di una prestazione sportiva, si presuma tendenzialmente di carattere subordinato, è tuttavia, possibile che siano integrate, in casi eccezionali, tipologie di lavoro autonomo che riguardano l’attività svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; che riguardano l’attività sportiva non vincolata alla frequenza a sedute di preparazione o allenamento, o comunque prestazioni che non supera 8/ore settimanali oppure 5/giorni ogni mese ovvero 30/giorni ogni anno.
È interessante sottolineare che anche nell’ambito sportivo possa configurarsi la figura dell’apprendista. Si tratta solitamente di un soggetto che ha stipulato con la propria società/associazione sportiva un contratto di apprendistato nelle forme canoniche in cui questo tipo di rapporto di solito si coniuga, e cioè: per la qualifica e il diploma professionale, per il diploma di istruzione secondaria superiore, per il certificato di specializzazione tecnica superiore, di alta formazione e di ricerca, per i corsi di laurea in scienze motorie e di laurea magistrale, organizzazione e gestione dei servizi per lo sport e le attività motorie, scienze e tecniche delle attività motorie preventive e adattative e scienze e tecniche dello sport. Al termine del periodo di apprendistato, il contratto si risolverà automaticamente.
Un elemento importante previsto all’art. 4 della legge n. 91/1981 riguarda il fatto che il contratto di lavoro sportivo “non può contenere clausole di non concorrenza o, comunque, limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla risoluzione del contratto stesso né può essere integrato, durante lo svolgimento del rapporto, con tali pattuizioni”. Sempre nello stesso articolo, peraltro, si fa riferimento al fatto che l’ordinaria procedura disciplinare, di cui all’art. 7 del c.d. “Statuto dei Lavoratori” (legge n. 300/1970) di norma percorribile dinanzi a condotte dei dipendenti ritenute scorrette e da sanzionare dai datori, non è applicabile nel caso di lavoro subordinato di carattere sportivo. In tema, appare d’obbligo evidenziare come in questo ambito, procedure di questo genere sono delegate ad un sistema a parte, che trova il suo culmine nei c.d. giudici sportivi, figure poste al vertice legislativo delle varie federazioni (prima, per lungo tempo, è anche stata una carica ricoperta da veri e propri magistrati, a cui è stato successivamente impedita tale attività direttamente dal Consiglio Superiore della magistratura). Aderire al sistema dei giudici sportivi differenzia il concetto di “giustizia” rispetto alla sua gestione ordinaria, ed è addirittura condizione essenziale per gli atleti agli inizi della loro carriera: al momento del tesseramento o dell’iscrizione ad una categoria agonistica sportiva, infatti, questi ultimi si devono impegnare ad accettare le deliberazioni della giustizia sportiva, e contestualmente rinunciare all’intervento di quella ordinaria.
Per quanto riguarda la rescissione del contratto di lavoro sportivo, si applicano per quanto possibile le previsioni relative al rapporto ordinario. Lo sportivo professionista rientra, in particolare, tra le categorie di prestatori soggetti al licenziamento c.d. “ad nutum” di cui agli articoli 2118 e 2119 del codice civile, che prescrive la possibilità di recedere senza una motivazione precisa, facendo salvo il rispetto dell’obbligo di preavviso o, in mancanza, corrispondendo un’indennità di mancato preavviso (equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso). Per completezza, si ricorda che, invece, l’art. 2119 c.c. esclude che spetti il preavviso nel caso di recesso per giusta causa, salvo che non sia il lavoratore a decidere in tal senso. In ogni caso, nelle ipotesi maggiormente riscontrabili nella prassi, cioè quelle di contratto a tempo determinato, è consentita, prima della scadenza del termine, la risoluzione consensuale del contratto. Per quanto riguarda, invece, il recesso c.d. “ante tempus”, cioè reso prima della naturale scadenza del termine previsto, non è consentito né al datore di lavoro, né al lavoratore, se non in presenza di una giusta causa in mancanza della quale il recedente è tenuto a corrispondere alla controparte il risarcimento del danno.

Principali novità introdotte dal D.Lgs. n. 36/2021
Dopo diversi anni dall’introduzione della citata legge n. 91/1981, solo recentemente si è verificato un rilevante e sostanzioso riassetto del sistema definito da tale norma. Ciò è avvenuto con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il 18 marzo 2021 del Decreto legislativo n. 36 del 28 febbraio 2021 (attuativo dell’art. 6 della legge n. 86 dell’8 agosto 2019 recante “riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo”). Ancor prima di questo ultimo aggiornamento, invero la legge n. 91/1981 era stata modificata dalla pur recente legge n. 8 del 28 febbraio 2020, la quale si era meramente occupata della tutela apprestata agli interessi sociali, economici e professionali degli atleti e dei lavoratori sportivi in genere.
Relativamente alle vicende legislative che hanno interessato questo ambito, il recente D.L. n. 41 del 22 marzo 2021 (c.d. “Decreto Sostegni”) ha rimandato l’entrata in vigore delle novità previste per il lavoro sportivo al 1° gennaio 2022. Invece, altre previsioni di cui si dirà a breve (tra le quali quelle relative al lavoratore sportivo, alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato sportivo, al rapporto di lavoro sportivo nei settori professionistici, al direttore di gara etc.) sono state ulteriormente rimandate al 1° luglio 2022.
Una delle più interessanti novità è senz’altro l’introduzione di formali definizioni di figure trasversali al mondo sportivo, quali i “lavoratori sportivi” e gli “amatori”.
In particolare, ai fini della presente trattazione, i primi sono identificati quali “l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercitano l’attività sportiva verso un corrispettivo”. L’evidente novità riguarda il fatto che, laddove il contenuto della legge n. 91/1981 utilizzava semplicemente il termine di sportivo professionista, con le modifiche apportate nel 2021 si intuisce l’intenzione di dare maggior rilievo allo sportivo nella sua accezione di vero e proprio lavoratore, identificato attraverso requisiti soggettivi e il requisito oggettivo dell’onerosità e della continuità dell’esercizio dell’attività sportiva.
Per quanto riguarda la seconda figura – gli “amatori” – essi sono identificati quali soggetti che impiegano “il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente con finalità amatoriali” in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche sia per lo svolgimento diretto dell’attività sportiva, che per la formazione, didattica e preparazione degli atleti. L’attività dell’armatore è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e, a seguito di quanto esplicato nella lettera del testo normativo, le sue prestazioni non sono retribuite in alcun modo; tuttavia possono essergli riconosciuti premi e compensi occasionali in relazione ai risultati sportivi conseguiti e/o indennità di trasferta e rimborsi spese.
Passando, invece, al lato imprenditoriale del lavoro sportivo, l’art. 13 è rubricato “costituzione e affiliazione delle società sportive professionistiche”. Esso impone la natura di società di capitali (Società per Azioni o Società a responsabilità limitata) delle società sportive professionistiche. Un elemento su cui preme porre l’attenzione è poi il c.d. “organo consultivo dei tifosi”: un organo interamente dedicato alla tutela degli interessi specifici di questa fascia di soggetti. I previgenti commi 7 e 8, legge n. 91/1981 erano stati aggiunti dalla legge n. 86/2019 la cui entrata in vigore era stata posticipata al 28 febbraio 2021 dal D.L. n. 162/2019 (c.d. “Milleproroghe”), convertito in legge 28 febbraio 2020, n. 8, il quale riportava che “in materia di sport, si proroga a 18 mesi dal 31 agosto 2019 il termine entro cui le società sportive professionistiche devono prevedere nei propri atti costitutivi un organo consultivo che provvede alla tutela degli interessi specifici dei tifosi”.
Passando poi a parlare di tesseramento, all’art. 15 del D.Lgs. n. 36 del febbraio 2021 si legge che “con l’atto di tesseramento l’atleta instaura un rapporto associativo con la propria associazione o società sportiva”. La richiesta di tesseramento di norma è contenuta in un modulo di adesione, predisposto dalle singole entità, compilata e sottoscritta dai soggetti interessati, i quali dunque provvedono in tal senso attraverso la società o l’associazione sportiva per la quale presterà attività. Nel dettaglio della disciplina relativa al tesseramento, si inserisce poi l’art. 16, che pone l’attenzione sul lavoro sportivo di coloro che non abbiano ancora raggiunto la maggiore età. Detto articolo, rubricato “tesseramento degli atleti minorenni”, prevede infatti che “la richiesta di tesseramento del minore deve essere presentata tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del minore. Essa può essere compiuta disgiuntamente da ciascun genitore nel rispetto della responsabilità genitoriale. Si applicano, in caso di disaccordo o di esercizio difforme dalle decisioni concordate, le disposizioni dell’articolo 316 del codice civile […]”: in base a quest’ultimo articolo le decisioni inerenti alla vita del minore devono necessariamente trovare l’accordo di entrambi i genitori che esercitino sullo stesso la responsabilità genitoriale. Se ciò non si verifica, il genitore dissenziente “può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei”.
Si è dunque detto che vengono mantenute anzitutto le esclusioni ex legge n. 300/1970: circa gli artt. 4 e 5 dello Statuto dei lavoratori, il primo vieta al datore di lavoro l’uso di impianti audiovisivi o di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, e il secondo vieta accertamenti sanitari da parte del datore di lavoro sull’idoneità e sull’infermità per malattia o infortuni del lavoratore, se non attraverso il ricorso ad organismi pubblici. Sono, invece, certamente applicabili al lavoro sportivo le disposizioni di cui agli artt. 2, 3, 6 e 8 della stessa legge n. 300/1970, i quali concernono il divieto imposto al datore di lavoro di impiegare guardie giurate per scopi che esulano dalla salvaguardia del patrimonio aziendale; la possibilità di usare del personale per attività di vigilanza previa però comunicazione ai lavoratori interessati dei nominativi e delle mansioni svolte dai vigilanti. Ancora, queste previsioni riguardano anche le visite personali di controllo sul lavoratore, a meno che le stesse non risultino indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale. Si ripropone, nel nuovo Decreto legislativo, la previsione in virtù della quale il contratto di lavoro sportivo può contenere l’apposizione di un termine finale non superiore a 5 anni dalla data di inizio del rapporto, si ammette la successione di contratti a tempo determinato tra gli stessi soggetti nonché la cessione del contratto prima della scadenza: a tal proposito si introduce il richiamo, in termini di esclusione, agli articoli da 19 a 29, D.Lgs. n. 81/2015 (riferiti appunto al lavoro a tempo determinato). Si mantiene altresì la previsione, oggi riportata al comma 4 dell’art. 26 (corrispondente all’art. 4, c. 7, legge n. 91/1981), in base alla quale le Federazioni possono prevedere la costituzione di un fondo gestito da rappresentanti delle società e degli sportivi per la corresponsione dell’indennità di anzianità al termine dell’attività sportiva a norma dell’art. 2123 c.c.: tale disposizione, ereditata da un accordo collettivo del 1974, che per primo aveva previsto la costituzione di un fondo per l’indennità di fine carriera per gli allenatori e i calciatori appartenenti alla Figc, fa sì che il fondo di cui si tratta, laddove sia costituito, sostituisce il Tfr, che, altrimenti, viene corrisposto al termine del rapporto di lavoro, sulla base delle disposizioni della legge n. 297/1982 (istitutiva del Tfr).

Altrettanto analogamente rispetto al quadro normativo previgente, si mantiene la possibilità, con identica formulazione, di inserire nel contratto di prestazione sportiva una clausola compromissoria per dirimere le controversie insorte tra società e tesserato, nonché l’esclusione della possibilità di apporre clausole di non concorrenza o comunque limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla risoluzione del rapporto.

L’art. 27, oltre alle previsioni già richiamate in materia di presunzione di subordinazione per gli atleti e di ipotesi di lavoro autonomo, riporta al comma 4 analoga formulazione a quella portata dall’art. 4, c. 1, laddove stabilisce che “Il rapporto di lavoro si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale, dalla disciplina sportiva associata e dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, sul piano nazionale, delle categorie di lavoratori sportivi interessate, conformemente all’accordo collettivo stipulato”. Si mantiene dunque in primo luogo l’imposizione della forma scritta ad substantiam (a pena di nullità) del contratto per la costituzione del rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso, secondo il contratto tipo predisposto conformemente all’accordo stipulato dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate, così come si è già avuto modo di chiarire. Sulla controversa questione relativa alla forma scritta del contratto di lavoro sportivo professionistico, una recente sentenza della giurisprudenza di merito ha stabilito che “le violazioni di norme dell’ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un accordo concluso tra soggetti assoggettati alle regole del detto ordinamento anche per l’ordinamento dello Stato, atteso che non può ritenersi idoneo, sotto il profilo della meritevolezza della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti, un contratto posto in essere in frode alle regole dell’ordinamento sportivo, e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste e, come tale, inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi. Ne deriva che ai sensi dell’art. 4 della L. n. 91/1981, che disciplina la costituzione del rapporto di lavoro subordinato sportivo in modo ‘specifico’, ogni patto aggiunto integrativo (informale) di quello principale (formalizzato) deve ritenersi nullo. Il modello federale è infatti prescritto per permettere il controllo della Federazione sull’operato della società e di giudicare la convenienza e congruità dei bilanci”.
Il nuovo articolo 28 è dedicato ai direttori di gara, prevedendo quest’ultimo che “il contratto individuale col direttore di gara è stipulato dalla Federazione Sportiva Nazionale o dalla Disciplina Sportiva Associata o dall’Ente di Promozione Sportiva competente”.

Viene infine ad essere abolito, progressivamente con norme transitorie per andare a regime il 1° luglio 2022, il vincolo sportivo, con conseguente previsione di un premio di c.d. formazione tecnica: in ambito professionistico il vincolo sportivo era già stato eliminato dalla legge n. 91/1981, mentre in ambito dilettantistico continuava a vincolare i giovani calciatori dall’età di 14 o 16 anni sino ai 25 anni. Durante tale periodo, il tesserato poteva cessare il vincolo solo tramite il c.d. “svincolo per accordo” diversamente operando la necessità del consenso della società detentrice del tesseramento ai fini del “trasferimento” dell’atleta. La modifica determina senz’altro per l’atleta un’ampia libertà di scegliere la società per la quale tesserarsi, ma anche la necessità per il settore dilettantistico di una nuova configurazione del movimento al fine di sopperire al mancato introito che remunerava l’investimento nella formazione del giovane calciatore. Le Federazioni dovranno individuare la misura del premio, sulla base di criteri legati all’età degli atleti, alla durata e al valore economico del contratto di prestazione sportiva nel caso di tesseramento per società professionistiche.

Con riguardo allo sport femminile, la qualificazione del lavoratore sportivo “senza alcuna distinzione di genere” determina la possibilità che le Federazioni Nazionali riconoscano al proprio interno un settore organizzato in forma professionistica anche a livello femminile. In ambito calcistico, occorre poi ricordare come Figc abbia deliberato l’avvio di un iter volto al riconoscimento del settore professionistico femminile a decorrere dalla s.s. 2022/2023.

CONTRIBUTO PUBBLICATO SU DIRITTO&PRAATICA DEL LAVORO