Al fine di agevolare le micro, piccole e medie imprese nei processi di trasformazione tecnologica/digitale e di ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi, già con la Legge di Bilancio 2019 (L. 145/2018) si è inteso offrire un nuovo strumento concreto che consenta di far fronte alle citate esigenze con il contributo statale. Trattasi, in particolare, del “voucher innovation manager”, un’erogazione economica che, al ricorrere di certi requisiti, può essere oggetto di fruizione da parte delle imprese per sostenere i costi della consulenza di un professionista qualificato. Nello specifico, l’innovation manager sarà chiamato a pianificare strategie finalizzate alla diffusione della cultura d’innovazione all’interno delle PMI e favorendo l’adattamento alle nuove tecnologie del personale e, in linea generale, delle imprese stesse. Restano escluse, tra le attività di consulenza demandabili al soggetto di cui sopra, quelle relative ai servizi di consulenza prestate per le ordinarie attività amministrative aziendali e commerciali.

Ebbene, con l’emanazione del recente DM del 7 maggio 2019, il Ministero dello Sviluppo Economico ha determinato, a detti scopi, un contributo (il c.d. voucher) pari al 50% della spesa della consulenza (sino a 40.000 €) in favore delle micro e piccole imprese e pari al 30% (sino a 25.000 €) per quelle medie. Ciò vale, purché tali realtà operino sul territorio nazionale e che non siano state destinatarie di sanzioni interdittive, risultino in regola con il versamento dei contributi e non siano oggetto di procedure concorsuali.

Occorre, con ciò, soffermarsi sulle caratteristiche soggettive del manager e del rapporto contrattuale cui dar luogo. Stando al decreto, il professionista de quo è una persona fisica accreditata negli albi di Unioncamere ovvero presso la Regione o che, comunque, abbia conseguito un dottorato, master, laurea specialistica nelle discipline citate dal DM (o esperienza di 7 anni) e che, in ogni caso, ottenga l’iscrizione nell’elenco del MISE.

Ad ogni modo, risulterà necessaria la sottoscrizione di un contratto di consulenza di almeno 9 mesi, avente ad oggetto il supporto del manager nel processo di applicazione di una o più delle seguenti tecnologie abilitanti:

  • big data e analisi dei dati;
  • cloud, fog e quantum computing;
  • cybersecurity;
  • integrazione delle tecnologie della Next Production Revolution (NPR) nei processi aziendali;
  • simulazione e sistemi cyber-fisici;
  • prototipazione rapida;
  • sistemi di visualizzazione, realtà virtuale e realtà aumentata;
  • robotica avanzata e collaborativa;
  • interfaccia uomo-macchina;
  • manifattura additiva e stampa tridimensionale;
  • internet delle cose e delle macchine;
  • integrazione e sviluppo digitale dei processi aziendali;
  • programmi di digital marketing;
  • programmi di open innovation.

In alternativa, l’innovation manager potrà vedersi demandato il compito di applicare nuovi metodi organizzativi nelle pratiche commerciali, nelle strategie gestionali, nell’organizzazione del luogo di lavoro, purché “comportino un significativo processo di innovazione organizzativa dell’impresa” (art. 3, co. II) o avviare percorsi di quotazione su mercati, di partecipazione al Programma Elite, di apertura del capitale di rischio a investitori indipendenti specializzati nel private equity o nel venture capital, di utilizzo dei nuovi strumenti di finanza alternativa e digitale.

Appare evidente come, sotto il profilo squisitamente contrattuale e nel silenzio della legge sul punto, il rapporto che si instaura tra l’azienda e il professionista debba ascriversi alla disciplina ex art. 2229 ss. c.c.. e, quindi, alle regole applicabili alle prestazioni d’opera intellettuale rese da soggetti iscritti in  albi e ciò a dispetto della scelta terminologica, posto che, di norma, per “manager” si intende colui che, alle dipendenze dell’azienda (e, quindi, in regime di subordinazione), si colloca nel livello più alto di inquadramento. L’applicazione delle norme citate comporta, invero, una totale assenza di qualsivoglia vincolo di subordinazione nei confronti dell’impresa a favore di un’assoluta indipendenza del manager, nonché una sostanziale libera recedibilità dell’azienda, purché corrisponda al professionista il rimborso per “le spese sostenute” e “il compenso per l’opera svolta” (art. 2237 c.c.).

Ad ogni modo, in assenza di una previsione legislativa esplicita sul punto, non è escluso che l’esperienza concreta veda il ricorso a modelli contrattuali differenti e che, in ogni caso, da tale incertezza possa discendere un copioso contenzioso giudiziale.

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