SOGGETTI
Tutti i lavoratori subordinati

REQUISITI
1. Forma scritta delle condizioni specifiche del contratto di lavoro;
2. Clausole accessorie

TRATTAMENTO ECONOMICO 
Stesso trattamento del lavoratore a tempo pieno, in proporzione alle ore lavorate

GIURISPRUDENZA DELLA SUPREMA CORTE
 Sentenza n. 31957 del 6 dicembre 2019
 Sentenza n. 705 del 18 gennaio 2016

FONTI
D.Lgs. n. 66 del 2003;
D.Lgs. n. 276 del 2003;
D.Lgs. n. 61 del 2001;
D.Lgs. n. 81 del 2015;
Art. 2013 c.c.

SOGGETTI
Come e` noto, il lavoro a tempo parziale (o ‘‘part-time’’) prevede un orario ridotto rispetto alle canoniche quaranta ore settimanali previste per la prestazione dell’attivita` lavorativa e puo` essere stipulato con tutte le categorie di dipendenti.

REQUISITI

  1. Nel caso in cui il datore, con l’accordo o su richiesta del dipendente, decida di assumere quest’ultimo tramite contratto di lavoro a tempo parziale, e` necessario che alcuni requisiti formali e sostanziali vengano rispettati. Tra questi la forma scritta: devono essere indicate, tassativamente per iscritto, il numero di ore per le quali il dipendente sara` tenuto a prestare la propria attivita`, nonche´ la loro diposizione (durante la settimana ed il mese lavorativi). Quid laddove questi elementi fossero assenti? In base alle diposizioni di cui al D.Lgs. n. 81/2015,  il datore rischia che, rivolgendosi ad un giudice per un accertamento, il dipendete possa ottenere che il rapporto di lavoro venga automaticamente riconosciuto come a tempo indeterminato – con tutte le tutele per il dipendente che ne derivano. In questi casi, il rapporto si considera a tempo pieno dal momento della corrispondente declaratoria giudiziale. E` possibile, tuttavia, che gli elementi di cui supra piuttosto che mancare del tutto, semplicemente non siano indicati in maniera chiara. In tal caso, al dipendente e` comunque riconosciuta la facolta` di rivolgersi all’autorita` giurisdizionale competente la quale, tuttavia, puo` solamente definire quelle modalita` di prestazione lavorativa che nel contratto erano indicate in maniera non completa, in base alla situazione generale del caso e secondo la propria discrezionalita`.
  2. Nel contratto di lavoro a tempo parziale e` altresı` facolta` delle parti inserire delle clausole accessorie, dette ‘‘elastiche’’, che conferiscono alle parti la possibilita` di concordare non solo la gestione delle ore lavorative da prestare in un dato periodo, ma anche la loro quantita`.

Perche´ siano valide, dette clausole devono essere inserite per iscritto nel contratto di lavoro di fronte alle apposite commissioni di certificazione. Questa previsione e` stata, tra le altre, oggetto di modifica del legislatore del 2015, poiche´ in accordo alla normativa previgente, esisteva una seconda categoria di clausole, dette ‘‘flessibili’’, che riconoscevano in capo al datore di lavoro un potere maggiore nel coordinare le ore di lavoro previste, aumentandone il numero o gestendo diversamente la loro collocazione mensile o settimanale in base alle sole esigenze aziendali. Ad oggi, tuttavia, dette clausole non esistono più.  Le clausole di cui in argomento sono individuate dall’art. 6 del D.Lgs. n. 81/2015, il quale recita che ‘‘nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono pattuire, per iscritto, clausole elastiche relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa ovvero relative alla variazione in aumento della sua durata. […] il prestatore di lavoro ha diritto a un preavviso di due giorni lavorativi, fatte salve le diverse intese tra le parti, nonche´a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme determinate dai contratti collettivi’’. Esse, dunque, sono soggette ad una disciplina peculiare: devono infatti precisare i limiti entro i quali il datore ha facolta` di proporre la contrazione delle ore lavorative all’interno del mese di lavoro; inoltre, a pena di nullita`, deve essere indicata la misura massima dell’aumento la quale pero` incontra il limite del 25% della normale prestazione annua. Una volta prestato il proprio consenso alle clausole elastiche, il dipendente ha comunque facolta`, laddove il suo convincimento sia cambiato, di ritirarlo e, pertanto, renderle inefficaci. Ciò, tuttavia, solo a condizione che il lavoratore stesso sia: uno studente, o affetto da patologie oncologiche o comunque si trovi in gravi situazioni di salute, laddove egli assista soggetto patologici gravi, o conviva con figlio di eta` inferiore ai 13 anni o portatore di handicap. Quando il datore decide di apportare le modifiche contenute all’interno delle clausole elastiche, inoltre, egli ha il dovere di comunicare tale intenzione al dipendente interessato con un anticipo di almeno due giorni lavorativi rispetto all’inizio delle nuove previsioni. Cio` comportera`, inoltre, una maggiorazione del 15% della retribuzione oraria globale di fatto. Infine, occorre specificare che ci sono dei casi in cui il datore di lavoro puo` apportare all’orario di lavoro di un proprio dipendente quelle modifiche che, di norma, richiedono il consenso di quest’ultimo anche senza che esso sia stato prestato. Si tratta di quei casi in cui l’interesse aziendale richieda prestazioni lavorative supplementari, o laddove vi siano comprovate esigenze organizzative.
Ovviamente, il limite del 25% delle prestazioni annuali normalmente prestate va comunque rispettato anche in questi casi di ‘‘emergenza’’, cosı` come l’onere per il datore di riconoscere al dipendente destinatario di dette modifiche una maggiorazione pari al 15% della retribuzione oraria globale di fatto. Gli unici casi in cui il dipendente possa rifiutare una tale pretesa da parte del datore richiedono la presenza di comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.

TRATTAMENTO ECONOMICO
Il lavoratore part-time, in proporzione alle ore ed alle giornate lavorate, deve ricevere lo stesso trattamento del dipendente a tempo pieno. Il ricalcolo cosı` da effettuarsi ha delle conseguenze non solo sulla retribuzione mensile/annua, ma anche sulle tutele ad egli riconosciute.  Ad esempio, infatti, l’importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio e maternita` risentono della quantita` delle ore in cui il dipendente ha effettivamente prestato attivita` lavorativa – a meno che, ovviamente, i contratti collettivi di riferimento non stabiliscano diversamente (ma, come detto, a seguito delle novita` normative introdotte nel 2015, i sindacati hanno perso molto del loro potere in riferimento a questa tipologia di lavoro). Secondo questi stessi criteri, inoltre, sono calcolate anche le somme dell’assegno per il nucleo familiare. Con riferimento, invece, alla durata del periodo di ferie annuali, a quella del congedo di maternita` o parentale, alla durata del trattamento della malattia e dell’infortunio, il dipendente part-time riceve trattamento normativo identico rispetto ai dipendenti assunti a tempo pieno.

GIURISPRUDENZA DELLA SUPREMA CORTE

  • Una delle piu` recenti sentenze della Corte di Cassazione in tema di rapporti di lavoro a tempo parziale risale al 2019 (sentenza n. 31957 del 6 dicembre), la quale giunge alla conclusione per cui ‘‘in tema di orario di lavoro, i limiti allo jus variandi dell’imprenditore nei contratti di lavoro part time – nei quali la programmabilita` del tempo libero assume carattere essenziale e giustifica l’immodificabilita` dell’orario da parte datoriale – non sono estensibili al contratto di lavoro a tempo pieno, nel quale un’eguale tutela del tempo libero del lavoratore si tradurrebbe nella negazione del diritto dell’imprenditore di organizzare l’attivita` lavorativa, diritto che puo` subire limiti solo in dipendenza di accordi che lo vincolino o lo condizionino a particolare procedure’’. Nel caso di specie, la vicenda veniva inizialmente rappresentata di fronte al giudice di I grado da piu` dipendenti di una societa` presso la quale essi lavoravano con mansioni da autista di pullman di linea. All’epoca, i ricorrenti adivano il Tribunale di Aosta al fine di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale patito a causa della intempestiva comunicazione dei turni di lavoro (oltre che il pagamento dell’indennita` di trasferta prevista dal CCNL di riferimento e presuntamente non corrisposta ai dipendenti). Essendo state respinte tali richieste in primo grado, i ricorrenti impugnavano detta decisione in appello, dove invece le stesse domande venivano accolte, condannando la societa` datrice di lavoro la quale, a sua volta, finiva per impugnare questa ultima decisione di fronte alla Corte di Cassazione. Il cuore della vicenda va individuato nei fatti lamentati dai lavoratori, i quali ‘‘avevano lamentato che nel periodo da gennaio 2013 a dicembre 2014 i turni di lavoro erano stati comunicati all’azienda di giorno in giorno, ossia con un anticipo non ragionevole, che aveva determinato per gli autisti un disagio nella gestione della vita di relazione; che era illegittima anche l’organizzazione del lavoro pattuita con l’accordo aziendale del 1º dicembre 2014 mediante affissione dei turni il lunedı`, il mercoledı` e il venerdı`, comportando un preavviso inferiore alle 48 ore almeno per i giorni di martedı`, giovedı` e sabato; che era irrilevante l’approvazione dell’accordo con referendum aziendale, non potendo questo sanare la violazione di norme imperative di rango costituzionale; che doveva essere riconosciuto a ciascun lavoratore il diritto al risarcimento del danno alla persona cagionato dalla illegittima compressione del tempo di riposo e del tempo libero, da ricondursi alla categoria del danno esistenziale, in quanto influente sulla vita di relazione’’. A sostegno delle domande cosı` presentate dai dipendenti, la Corte di Appello statuiva che lo stesso datore aveva dato prova  del breve intervallo di preavviso con cui le turnazioni dei lavoratori erano presentate: essi venivano esposti alle ore 12 del giorno precedente alla loro entrata in vigore e, pertanto, esso era di gran lunga inferiore rispetto alle 48 ore richieste dalla normativa vigente (art. 6, IV e V comma, D. Lgs. n. 81/2015) che, seppur non direttamente applicabile, veniva considerato quale parametro di calcolo. Non solo: anche le modalita` di comunicazione furono ritenute illegittime dalla Corte d’Appello, ‘‘ne´ poteva addossarsi ai lavoratori l’onere di indicare una diversa possibile organizzazione dei servizi aziendali, poiche´ spetta all’imprenditore organizzare i turni di servizio dei propri dipendenti e la loro tempestiva comunicazione, in modo che sia, ad un tempo, conforme alle norme imperative di legge, rispettoso dei diritti dei lavoratori e satisfattivo delle esigenze aziendali’’. La Corte di  Cassazione, investita del caso, ribadiva dunque una posizione gia` dalla stessa sposata (cfr. Cass. n. 4502 del 1993 e n. 23552 del 2004) secondo la quale l’analogia posta tra la prestazione di lavoro a tempo parziale e quello a tempo pieno non sia accettabile. Pertanto, prosegue la Suprema Corte, non puo` ritenersi valido quanto asserito dalla Corte d’Appello laddove essa riteneva corretta la nullita` della clausola del Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori di riferimento rispetto alla forza della norma di legge richiamata (seppur non direttamente applicabile al caso in questione, che vedeva protagonisti dei lavoratori a tempo pieno e non parziale).
  • Un caso particolare che vede protagonista l’istituto del lavoro part-time riguarda la possibilita` che il lavoratore cosı` assunto, sia titolare di due contratti di tale tipo presso due datori diversi. Una possibilita` di tal sorta e` generalmente prevista, ma e` chiaro il conflitto che potrebbe crearsi laddove sorgessero problemi con una delle posizioni ricoperte (o entrambe). Di una peculiarita` legata a questi scenari si e` occupata la Suprema Corte con sentenza n. 705 del 2016. Il caso di specie riguardava una dipendente, titolare di due rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale di tipo orizzontale, la quale era collocata in mobilita` per una delle posizioni ricoperte, mentre l’altra procedeva regolarmente. Davanti la Corte di Cassazione, l’INPS impugnava la sentenza della Corte d’Appello che la condannava al pagamento dell’indennita` di mobilita` con riferimento alla retribuzione percepita dalla lavoratrice in virtu` di uno dei due rapporti a tempo parziale, entrambi instaurati per 20 ore settimanali, gia` intercorso. A sua difesa, l’Istituto di Previdenza lamentava che la dipendente, nonostante la collocazione in mobilita` in relazione ad un diverso rapporto di lavoro part-time, avesse proseguito un altro rapporto sempre a tempo parziale di cui era gia` titolare in precedenza: pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla pronuncia impugnata, a quest’ultima non poteva essere riconosciuta l’indennita` di mobilita` che, come tutti i trattamenti di disoccupazione, e` strutturata su base giornaliera e viene corrisposta a fronte di una mancanza di lavoro protrattasi per l’intera giornata e non e` frazionabile su base oraria. La Suprema Corte rigettava il ricorso proposto, chiarendo che accogliere la domanda dell’INPS: ‘‘[…] determinerebbe una palese ingiustificata disparita` di trattamento fra il lavoratore a tempo parziale c.d. verticale (strutturato su alcune giornate di prestazione a tempo pieno e altre di assenza di ogni attivita` lavorativa) e quello impiegato in un part-time c.d. orizzontale, consentendo la corresponsione dell’indennita` di mobilita` soltanto per le giornate di non lavoro del primo ed escludendo ogni trattamento economico a favore del secondo, pur in ipotesi d’un pari numero di ore settimanali dedotte in contratto, sol perche´ lo stesso numero di ore di lavoro e` spalmato su tutti i giorni della settimana. E` evidente che tale soluzione ermeneutica contrasta con l’art. 3 Cost., comma 1 e art. 35 Cost., commi 1 e 2, oltre che con la clausola 1, lettera a), dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81, avente lo scopo di eliminare le discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualita` del lavoro part-time, obiettivo che risulta anche dal secondo comma del preambolo dell’accordo quadro medesimo e dall’undicesimo ‘‘considerando’’ della direttiva summenzionata. Indubbiamente penalizzare il lavoro a tempo parziale di tipo c.d. orizzontale avrebbe un effetto disincentivante del ricorso ad una forma di occupazione vista con favore della normativa euro-unitaria. E – com’e` noto – e` obbligo dell’interprete scegliere, fra piu` esegesi possibili, quella conforme al dettato costituzionale e all’ordinamento dell’Unione europea. In secondo luogo, il rimando alle ‘‘giornate’’ e alla ‘‘sospensione’’ dell’indennita` che si legge nel cit. art. 8, comma 7, non puo` nemmeno intendersi come imputato all’intero arco temporale del rapporto part-time, ossia nel senso che per tutta la durata d’un contratto a tempo parziale non spetti il trattamento economico di mobilita`, potendo il lavoratore solo conservare l’iscrizione nella relativa lista (ai sensi del comma precedente): si tratta di interpretazione impraticabile gia` da un punto di vista meramente letterale, atteso che il parlare di ‘‘giornate’’ e di ‘‘sospensione’  dell’indennita` oggettivamente evoca singoli limitati momenti di non spettanza del trattamento all’interno d’un piu` ampio arco temporale di riferimento. Si aggiunga – ancora – la necessita` di rispettare, sotto un profilo sistematico, una doverosa simmetria tra la flessibilita` dei tipi contrattuali di lavoro (soprattutto dopo il D.Lgs. n. 276 del 2003) e le modalita` di pagamento dei trattamenti previdenziali, non potendosi predicare la massima elasticita` per i primi e la totale rigidita` per i secondi. E, non a caso, della L. n. 223 del 1991, cit. art. 7, comma 12, stabilisce che l’indennita` di mobilita` e` regolata della normativa che disciplina l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria ‘‘in quanto applicabile’’, in tal modo rimarcando che le sue modalita` di erogazione devono pur sempre confrontarsi con le peculiari esigenze della mobilita` disciplinata dalla stessa L. n. 223 del 1991: fra di esse vi e` quella di renderla compatibile anche con il lavoro a tempo parziale […].’’ In definitiva, pertanto, la Corte accertava il diritto della dipendente di essere titolare di due rapporti di lavoro a tempo parziale anche se in uno di essi vigeva una sospensione dovuta a mobilita` (che, ricordiamo, e` stata sostituita nel 2012 dall’istituto della NASpI a seguito delle novita` introdotte dalla c.d. ‘‘riforma Fornero’’). Ne´ – prosegue la Suprema Corte – deve, ai fini del trattamento economico da riservare alla dipendente che si trovi in una tale condizione, rilevare che l’emolumento corrisposto su base giornaliera non sia frazionabile su base oraria, in quanto una limitazione alle sole giornate lavorative (specie, come nel caso in esame, laddove il lavoro a tempo parziale assuma la forma orizzontale) determinerebbe un’ingiustificata disparita` di trattamento tra part-time verticale ed orizzontale, ed e` inoltre direttamente contraddetta dalla normativa di riferimento che, in tali casi, non prevede un’esclusione dell’indennita` per tutta la durata del contratto a tempo parziale in esecuzione.

CONTRIBUTO PUBBLICATO SU PRATICA LAVORO