Il caso

La Corte d’Appello di Torino aveva accolto il ricorso di un gruppo di “rider” che richiedevano l’applicazione delle tutele del lavoro subordinato ai propri contratti di lavoro (App. Torino 4 febbraio 2019 n. 468), inquadrando la fattispecie sottoposta al suo giudizio (art. 2, c. 1, D.Lgs. 81/2015) in una tipologia contrattuale intermedia tra subordinazione ed autonomia e definita quale “tertium genus”.

Secondo i giudici di secondo grado, a questa diversa categoria di lavoratori – che svolgono attività di collaborazione autonoma caratterizzata dalla continuità e dalla personalità della prestazione ma la cui attività viene organizzata dal committente relativamente ai tempi e al luogo dell’esecuzione – sarebbero dovuti appartenere i “rider”.
Si tratta di un contratto di collaborazione “etero-organizzata”, al quale si sarebbero dovute applicare alcune tutele proprie del lavoro subordinato, tra le quali gli standard retributivi minimi e le regole in materia di igiene e sicurezza, con esclusione della disciplina dei licenziamenti.

La società impugnava la sentenza davanti alla Corte di Cassazione, deducendo, tra gli altri motivi, l’inesistenza di tale “terzo tipo” di contratto e, comunque, l’illeceita dell’applicazione della normativa del contratto di lavoro subordinato; facendo, altresì, presente come l’elemento dell’etero-organizzazione fosse già stato considerato dal legislatore con la locuzione “anche in riferimento ai tempi e luoghi di lavoro” (art. 2 D.Lgs. 81/2015) e quindi che essa avrebbe dovuto essere rinvenuta in una più pregnante ingerenza del datore di lavoro.

La sentenza della Corte

La valutazione di alcuni indici fattuali (personalità, continuità, etero-organizzazione) giustifica l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, per cui “non ha decisivo senso interrogarsi se tali forme di collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà economiche in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell’autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione di norme sul lavoro subordinato disegnando una norma di disciplina”.

Cosi ha statuito la Cassazione, che ha rimarcato l’intento del legislatore del 2015 di tutelare i prestatori in una condizione economica di debolezza ed operanti in una zona grigia tra autonomia e subordinazione.
In questo senso le collaborazioni individuate dall’art. 2, c. 1, D.Lgs. 81/2015, quando connotate dagli elementi summenzionati (personalità e continuità) e dall’etero-organizzazione della prestazione, saranno soggette alla disciplina della subordinazione. La Suprema Corte ha quindi ritenuta ingiustificata la creazione di una diversa tipologia di contratto, a metà strada tra contratto di lavoro autonomo e subordinato, ritenendo che la normativa esistente fosse già di per sé sufficiente alla regolazione della fattispecie contrattuale sottoposta al suo esame.

La sentenza in commento ha altresì giudicato che possa essere ravvisata etero-organizzazione anche quando il committente si limiti a determinare unilateralmente “il quando e il dove” della prestazione personale e continuativa. In questo senso, i giudici hanno rilevato che, nel caso dei “rider”, l’autonomia del lavoratore sussistesse solo nella fase genetica del contratto, non anche nella fase esecutiva connotata dall’aspetto della etero-organizzazione, tipica della subordinazione.

Risvolti e problematiche

Diverse sono le modifiche normative apportate dalla legislazione più recente alla disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative (DL 101/2019 conv. in L. 128/2019), come ad esempio il fatto che la prestazione del lavoratore debba essere svolta non più in modo “esclusivamente personale” (ora è sufficiente che la stessa sia svolta in via “prevalentemente personale“) e anche l’estensione del concetto di “modalità di esecuzione” della prestazione lavorativa, resa sempre con la modalità del rapporto di lavoro autonomo coordinato e continuativo. Il requisito della eterodirezione non è più limitato ai soli profili inerenti il tempo e il luogo della prestazione ma ha subito un’estensione.

Quanto sopra ha determinato un ampliamento delle fattispecie riconducibili al rapporto di lavoro subordinato, come dimostrato ampiamente dalla motivazione della recentissima sentenza della Suprema Corte in commento.

Restano aperti due quesiti interpretativi importanti: quali sono i concreti ambiti di applicazione della disciplina della collaborazione autonoma? Nel caso di applicazione della normativa della subordinazione alle collaborazioni coordinate e continuative, si applicheranno a tale rapporto tutte le tutele o solo alcune, e quali?

La Cassazione ha giudicato che qualora non vi sia etero-organizzazione il rapporto di lavoro possa essere qualificato come autonomo tout-court, e, che, quindi, allo stesso non si applichi la disciplina del rapporto di lavoro subordinato. In ragione della sopra menzionata interpretazione del concetto di etero-organizzazione, sarà probabilmente sempre più facile dare la prova dell’esistenza della subordinazione, a maggior ragione in un mondo in cui i lavoratori sono sottoposti a controlli e direttive anche qualora non siano presenti tutti i giorni al lavoro e, quindi, svolgano la loro attività con modalità che può essere anche quella dei lavoratori autonomi. Ciò anche in conseguenza dello sviluppo delle più recenti tecnologie che permettono modalità di svolgimento dell’attività lavorativa il cui confine di qualificazione, lavoro autonomo/lavoro subordinato, è molto labile.

Pertanto, nel quadro normativo attuale, il rischio è che la possibilità che un contratto di lavoro di collaborazione sia qualificato come “totalmente autonomo” in concreto, risulta essere più limitata che in passato.

Sulla possibilità di applicare integralmente la normativa della subordinazione anche alle collaborazioni coordinate e continuative, qualora ricorrano i presupposti sopra specificati, la Suprema Corte di Cassazione ha deciso nel senso della completa applicabilità, con l’eccezione dell’ipotesi in cui la natura del contratto e/o le modalità di esecuzione dello stesso siano per loro natura incompatibili con la subordinazione stessa: “non possono escludersi situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizione non sono comprese nell’ambito dell’art. 2094 c.c.”’ (Cass. 24 gennaio 2020 n. 1663).

L’incompatibilità andrà dimostrata, nella pratica, in base alle differenze esistenti tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo: rispetto a quanto detto sopra, tale prova potrebbe risultare molto difficile, se non “diabolica”.

CONTRIBUTO PUBBLICATO SU LAVOROPIU’ DI GIUFFRE’