Con il decreto legislativo n. 116/2017, attuativo della legge 28 aprile 2016, n. 57, il Governo ha inteso portare a compimento l’iter di una riforma complessiva della magistratura onoraria, regolando in maniera organica e con innovazioni radicali, in particolare, lo status dei giudici di pace.

Attraverso l’introduzione di uno statuto unico della magistratura onoraria e la drastica riorganizzazione dell’ufficio del giudice di pace si assiste ad una conseguente assimilazione tra lo stesso e i giudici onorari e viceprocuratori onorari, con una netta rideterminazione del ruolo di questi ultimi. Le nuove strutture organizzative di riferimento sono denominate “uffici per il processo” e verranno costituite presso il tribunale del circondario ove abbia sede l’ufficio del giudice di pace. In maniera analoga, con riferimento ai vice procuratori onorari, si assisterà all’istituzione di un “ufficio di collaborazione del procuratore della Repubblica” in ogni procura presso il tribunale ordinario.

La previsione maggiormente controversa, alla luce della mobilitazione promossa dall’Unione Nazionale Giudici di Pace, consta nella “precarizzazione” e nella parziale “privatizzazione” di tali incarichi. A fronte di un impegno richiesto non superiore ai due giorni settimanali, nonostante i moniti del Consiglio superiore della magistratura avessero suggerito un innalzamento fino a tre giorni, si è inteso rendere pienamente compatibili con lo svolgimento delle incombenze ad essi adibite lo svolgimento di altre attività, generando una vera e propria trasformazione in impiego part-time. A ciò si aggiunga una riforma del regime delle indennità, che finisce per caratterizzarsi da una componente di natura fissa (non superiore a 16mila euro lordi totali) e una seconda di natura variabile condizionata al raggiungimento di determinati obiettivi prestabiliti, con l’articolazione poi di un regime previdenziale, assistenziale e assicurativo adeguato all’onorarietà dell’incarico. Lo stesso sindacato ha rilevato, in proposito, come tale misura si presti a comportare una generale diminuzione dei compensi, in alcuni casi “pari al 75% del precedente stipendio”, e ad integrare “una sorta di licenziamento illegittimo” sulla base dell’ordinamento comunitario, minacciando l’impugnazione di tutti i decreti ministeriali attuativi della riforma e la proposizione di azioni innanzi alla Corte di Giustizia Europea e alla Corte Costituzionale. Ad essere messa a repentaglio sarebbe anche l’indipendenza dei nuovi “giudici onorari di pace”, in virtù del rischio insito nella riforma di un’eccessiva subordinazione nei riguardi del giudice togato, accentuata dalla cancellazione della responsabilità disciplinare.

Un’ulteriore novità, relativamente alla durata dell’incarico, è rappresentata dall’intrinseca temporaneità dello stesso. Non sarà più possibile la permanenza nell’ufficio per un periodo superiore ai due quadrienni complessivi, con la necessità dell’ottenimento di una conferma intermedia, il cui computo, sulla base dell’art. 18 del D.lgs 13 luglio 2017, n. 116, include “l’attivita’ comunque svolta quale magistrato onorario” e fatta salva la cessazione dell’impiego al compimento del sessantacinquesimo anno di età.

Con riferimento alle competenze ad essi attribuite, non si registra, diversamente da quanto precedentemente paventato con timore da taluni, un ampliamento delle stesse in ambito penale: i processi per abbandono di animali, minaccia non aggravata, furto perseguibile a querela, rifiuto di fornire le proprie generalità alle forze dell’ordine e vendita di specie animali e vegetali protette rimarranno riservati alla cognizione del giudice ordinario, allo stesso modo delle cause civili riguardanti lo scioglimento della comunione sui beni immobili, l’accertamento delle servitù e le relative costituzioni ed estinzioni e il regolamento di confini.

Ai giudici onorari di pace potranno, invece, essere delegati, come si evince dal comunicato di fine seduta del Consiglio dei ministri, il compimento di atti di istruzione in ambito civile di non particolare complessità e la pronuncia di provvedimenti che definiscano i procedimenti di volontaria giurisdizione (eccezion fatta per la materia familiare ivi comprese le competenze del giudice tutelare), di previdenza e assistenza obbligatoria, di impugnazione od opposizione avverso provvedimenti amministrativi, di espropriazione presso terzi (nel caso in cui il valore del credito pignorato sia uguale o inferiore a 50mila euro), cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e dei natanti (per un valore della controversia non superiore a 100mila euro) e relative a beni mobili se di valore inferiore a 50mila euro. Un ulteriore ampliamento di competenze, che attrarrà una serie di procedimenti del tribunale caratterizzati da minor complessità vedrà, poi, la propria operatività posticipata al 31 ottobre 2021, anno nel quale sarà terminata la fase di formazione dei nuovi giudici onorari, comprendente un tirocinio organizzato dal Consiglio superiore della magistratura della durata di sei mesi e un inserimento all’interno dell’ufficio del processo della durata di due anni. Dal 2025, inoltre, a far parte delle materie delegabili saranno anche le cause di natura condominiale.

Risulta infine utile segnalare come il decreto introduca una disciplina transitoria riservata ai magistrati onorari attualmente in servizio e ai procedimenti già assegnati o assegnabili alla data della riforma. E’ garantita per i primi la possibilità di ottenereuna conferma, alla scadenza del primo quadriennio, per i successivi tre quadrienni”, fatta salva “la cessazione al compimento del sessantottesimo anno di età”, senza alcuna interruzione dei procedimenti in corso.

Se, da un lato, la riforma pare perseguire un ambizioso intento deflattivo del contenzioso giudiziario, in particolar modo civile, dall’altro residuano dubbi circa l’opportunità di un simile gravame posto in capo ai giudici di pace, in particolar modo se accompagnato da previsioni atte a indebolirne lo status. Il sacrificio in termini di garanzie parrebbe, in definitiva, talmente rilevante da risultare sproporzionato rispetto alle seppur legittime finalità dell’intervento.